Kenya, il segreto della sua crescita
Obama, Mark Zuckemberg, Papa Francesco, sono alcune tra le personalità più importanti del momento ad aver visitato il Kenya. Perché tanto interesse per questo piccolo Paese dell’Africa Orientale?
Un aeroporto che risponde a tutte le norme internazionali, ed estremamente sicuro, strade praticabili e di buona qualità, grandi edifici ovunque, una pletora di fastfood. Questa è Nairobi. “Welcome to the real hub of Africa” si legge entrando in città, “Benvenuti nella vera hub dell’Africa”. Nairobi, la capitale del Kenya, mostra senza paura le sue ambizioni, e a ragion veduta: in questo momento il Kenya è uno dei Paesi africani con maggiore appeal. E se tante personalità stanno puntando il piccolo Paese africano, lontano dai numeri dell’immensa Repubblica Democratica del Congo o del gigante Nigeria, è perché si sta imponendo come vera e propria hub dell’Africa Orientale… E non solo a sentire alcuni osservatori sedotti dal Kenya. “Oggi, in Africa, in tanti pretendono essere una hub, ma il fatto è che il Kenya ad essere la vera e unica hub africana”, afferma Moises Ikiara, economista con il compito di promuovere il Paese presso gli investitori. “Se guardate in dettaglio, in termini di strategia economica, di diversificazione dell’economia, di qualità delle risorse umane, di infrastrutture…non può esserci altra hub al di fuori del Kenya”, puntualizza Ikiara. Ma come stanno le cose in realtà? Se analizziamo nel dettaglio la situazione del Paese, possiamo dire che l’ex colonia britannica è un Paese che nonostante non sia stato dotato di altrettante preziose risorse naturali dei suoi vicini, il Kenya si presenta con fierezza. Secono l’impresa di revisione contabile Ernts & Young, Nairobi è quarta in termini di attrattiva per gli investitori, appena dietro a Johannesburg e a Città del Capo, in Sudafrica e Lagos in Nigeria. Tra i critieri che giustificano questa classifica, troviamo il mercato locale e gli sbocchi che offre ai mercati regionali come la Comesa (Common Market for Eastern and Southern Africa), ma soprattutto L’East African Community che raggruppa 5 Paesi (Kenya, Tanzania, Ruanda, Uganda e Burundi), il primo mercato comune africano. Sono poi considerati costi, qualità della manodopera locale, la produttività e soprattutto il parco infrastrutture.
Infrastrutture. Sicuramente un grande punto di forza per il Kenya, perché assicura sia i collegamenti locali che quelli regionali: una rete stradale di 472 chilometri che presto arriverà a legare l’est e il nord del Paese, importante punto di intersezione con il sud dell’Etiopia; un aeroporto internazionale, il più importante dell’Africa Orientale con quasi 7 milioni di passeggeri l’anno; il porto di Mombasa, hub marittima regionale dalla quale transitano le merci in arrivo non solo dal Kenya, ma anche dai Paesi senza sbocco sul mare quali l’Uganda, il Burundi o il Ruanda, ossia un traffico di quasi 27 milioni di tonnellate. Senza dimenticare la linea ferroviaria prevista tra Mombasa e Kigali, prima tratta che dovrà collegare, a lavori ultimati, entro il 2017 a sentire le autorità, Kampala, in Uganda, poi Kigali, in Ruanda, fino a Juba, in Sud Sudan, per un totale di 2900 chilometri. Un investimento da 10 miliardi di euro finanziato dalla Cina Exim Bank, costruito dalla China Road and Bridge Corpration (CRBC) e destinato a confermare la posizione del Kenya come hub logistica regionale. Anche nel campo dell’energia, il Paese è passato dal 27% nel 2013 al 56% nel 2016, e un obbiettivo fissato all’80% da qui al 2020, puntando soprattutto sullo sviluppo delle energie rinnovabili. Grazie alle nuove tecnologie che accelerano la crescita del Paese e un sistema educativo di istruzione e formazione ritenuto essere uno dei migliori del continente, il Kenya si assicura il posto di principale piattaforma di investimento del continente.
Questo è il risultato di una forte volontà politica. Negli ultimi anni, il Governo ha investito molto nelle infrastrutture: è partito dal 18% del PIL nel 2000, per arrivare al 22,4% nel 2014, scendere al 21,2% lo scorso anno, per poi arrivare al 22,5% quest’anno, coinvolgendo anche la crescita economica, intorno al 6% contando anche agricoltura e servizi. I due terzi della crescita del Kenya arrivano dagli investimenti pubblici, i resto è dovuto alle esportazioni. In effetti, il Kenya dimostra avere anche un settore privato molto dinamico, principale esportatore delle regione grazie al the, ai prodotti petroliferi raffinati e i fiori. Quando su 6 punti percentuali di crescita 4 punti provengono dagli investimenti pubblici, non si può che complimentarsi e definire il Kenya un modello di rinascita riuscita in Africa. Ma l’euforia pare stia svanendo. Il picco , in termini di attrattiva, c’è stato tre anni fa. Oggi il fiato si accorcia. Anche se il Kenya appare come uno dei Paesi più “facili” della zona, deve far fronte a importanti sfide. Il Ruanda, ma anche l’Etiopia sono in piena crescita, senza dimenticare la Tanzania. La forza principale del Kenya, a differenza dei suoi “antagonisti”, è che nonostante il Paese disponga di poche risorse naturali (petrolio, miniere), ha un’economia molto diversificata: agricoltura, servizi, industrie, turismo e questo gli permette di fronteggiare meglio le fluttuazioni dei corsi delle materie prime e di sforzarsi a sviluppare l’attività economica in altri settori.
Vero punto debole del Paese è la corruzione, onnipresente ovunque, così come la disoccupazione giovanile che, paradossalmente, rimane una delle più importanti della regione perché un’economia basata sui servizi non permette di creare sufficienti posti di lavoro non qualificati. Ci vuole personale preparato per queste posizioni. Ma in realtà, la nozione di disoccupazione, come la conosciamo in Europa, non esiste veramente, perché tutti devono avere un piccolo lavoro per sopravvivere. Ma è vero che c’è carenza di posizioni formali. La soluzione potrebbe trovarsi nell’imprenditoria autonoma visto che il Paese afferma essere in prima fila per quanto riguarda start-up e PME. Si parla anche di un modello keniota in termini di sviluppo di PME. Obbiettivo? Kenya Vision 2013, il programma di sviluppo partito nel 2008 su iniziativa del Presidente Kibaki. Nell’attesa, la stabilità politica, altro fattore di attrattiva, verrà messa alla prova quest’anno con le elezioni presidenziali previste per l’estate prossima. Se l’ultima tornata elettorale si è svolta senza problemi, il Kenya ha conosciuto in passato violenti momenti post-elettorali dovuti a una divisione etnica che rimane importante malgrado il più volte dichiarato cosmopolitismo. Al rischio legato al calendario politico si aggiunge quello del terrorismo. Anche se il Paese che deve far fronte alla minaccia degli Shebab (diversi gli attacchi anche importanti: Ambasciata USA a Nairobi, il centro commerciale Westgate…) ha messo a punto un sistema di sicurezza molto performante. Ma questo sistema è stato sovvenzionato per la maggior parte dagli Stati Uniti. Rimane ora da vedere se l’arrivo di Trump a capo della prima potenza mondiale cambierà le carte in tavola. Non è affatto scontato che sia altrettanto sensibile allo charme di questo Paese nel quale Obama aveva le sue radici.
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