Senza Cultura non si mangia

Nei giorni scorsi ha fatto scalpore assai che la Lingua di Dante e di Manzoni giacesse obliata, malgrado Scuola e Rai, dalle ultime due o tre generazioni. A denunciarlo, Maestri ed Eruditi: che hanno chiesto al Governo Gentiloni di risolvere –  a colpi di decreti – la lotta tra Pensiero ed Espressioni! Fuor di rima, e senza evocare le grida dell’Accademia della Crusca, la dichiarazione dei seicento docenti sul ‘semianalfabetismo’ dei giovani che accedono alle Università ha suscitato scalpore ma anche reazioni: in particolare, contro il sistema formativo stesso a vari livelli, accusato per primo del problema per la crescente promozione dei contenuti ‘tecnici’ della cultura – pardon, ‘competenze’ – e la mortificazione di quelli umanistici.

In effetti sono decenni che, dalla Scuola alle Università, il sistema formativo italiano soggiace passivamente alle teorie di matrice anglosassone, invece di integrarne i contenuti per aggiornare ma non mortificare se stesso. Che conoscere meglio le lingue straniere, l’informatica, internet o come metter su un’impresa fosse necessario e da incentivare nelle nostre scuole, nessuno lo ha mai messo in dubbio. Il problema è che si è passati da un eccesso all’altro: e programmi scolastici sovrabbondanti di nozioni, ma d’altro canto la perdita di quelle che erano ore di lezione sui libri oggi dedicate alle nuove attività di ‘scuola-lavoro’; e infine i sistemi valutativi ‘quantitativi’, trasparenti ma impossibilitati a quantificare la ‘qualità’ della cultura della persona-alunno, hanno prevalso fino a mettere in secondo piano la cultura umanistica e persino l’uso della lingua madre: l’Italiano.

Il sovraccarico di impegni e nozioni su tutto, e la contemporanea mortificazione della lettura e della riflessione, hanno fatto sì che i ragazzi abbiano sentore di molto ma conoscenza di ben poco. E si ritrovino impreparati, quando affrontano la vita, il lavoro e l’Università: risultato che è frutto di un progetto dichiarato perché l’alunno di cui si parla nelle ultime riforme non è una Persona, è un ‘Curriculo’.

Quello che ora sta accadendo dunque non è casuale; e non si può cascare dal pero. E’ un effetto boomerang, ovvero il fatto che aver mortificato umanesimo e lingua italiana in nome di economia e internet sta privando i giovani del primo strumento per comunicare, ma soprattutto per conoscere la realtà, e, quindi, per pensare – attività necessaria anche per produrre: la lingua madre. Le lingue, con le loro strutture, con l’elasticità delle loro coniugazioni e declinazioni, con la varietà dei loro lessici, sono lo scheletro e i mattoni con i quali si costruiscono gli edifici del pensiero umano: più sono ricche e più sono fonte di creatività, più vengono impoverite e più il pensiero delle persone viene ridotto. Fra quelle europee, lingue complesse come il tedesco, le lingue slave, il latino e ancor più il greco antico, sono autentici esercizi per la mente. Lingue essenziali come l’inglese invece, che ha l’immediatezza di una lingua franca sviluppata fra i gruppi etnici che popolarono le isole britanniche e poi fra i popoli che l’impero britannico conquistò, sono funzionali ai tempi e ai modi degli affari, dei mercati e di internet, delle breaking news, dei messaggi pubblicitari e dei post sui social. L’italiano non ha le declinazioni, ma le coniugazioni sì: ed un lessico ricchissimo, nel quale sostantivi e verbi non sempre si ‘sovrappongono’ semplicemente, come spesso accade in inglese.

L’Italiano è esercizio per la mente, e non per caso è culla del Made in Italy, dall’arte medievale alla moda di oggi: e i contenuti del ‘Made in Italy storico’, come quelli dell’arte, della manifattura o della gastronomia regionale, non sono stati ‘rimossi’ dalla unificazione della lingua per opera di Dante, di Manzoni, né dalla promozione della Lingua unitaria da parte della Scuola; e della Rai, al tempo della diffusione della televisione nel secondo Dopoguerra: perché le lingue locali, i cosiddetti ‘dialetti’ da cui l’Italiano ha preso origine, hanno comune matrice, struttura e articolazione, e solo una parte della loro ‘superficie’ costituita da vocaboli e inflessioni, è stata livellata dalla lingua nazionale. Né, i ‘dialetti’ sono scomparsi. Per fortuna.

Quello che c’è da fare, allora, è un esame di coscienza: chi deve farlo, deve rendersi conto che passare da un eccesso all’altro si sta traducendo non in una banale mancanza di erudizione, ma in una preoccupante improduttività annunciata delle nuove generazioni, che rischiano di non poter più apprendere ai massimi livelli perché non sanno utilizzare abilmente il principale strumento che consente di articolare il pensiero: la lingua madre. “La Cultura non si mangia”, abbiamo sentito ripetere per anni. Ragazzi, maddeché: “Senza Cultura, non si mangia”.

©Futuro Europa® Le immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione

[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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