Economia della connessione
La crisi dell’Economia finanziaria e dell’Economia reale, in Italia e non solo, è sotto gli occhi di tutti. Economia reale che, in quasi tutti i Paesi, è stata distrutta con scelte neoliberiste di contrazione della spesa pubblica e di austerità che deprimono la domanda delle imprese, soprattutto quelle medie, piccole e micro.
Poiché il modello finanziario internazionale spinge le banche verso servizi e investimenti nella finanza e non in tema di Economia reale (ad esempio agricoltura o siderurgia) ne deriva che le banche si stanno indebolendo e sempre più si indeboliranno, soprattutto in quei Paesi il cui tessuto produttivo trova le sue fondamenta nella micro e piccola impresa. I più eminenti economisti sono perplessi. Ogni tentativo di risolvere la crisi economica, infatti, utilizzando gli strumenti tradizionali è fallito, perché i paradigmi esistenti non corrispondono più alla realtà globale-integrale quale è quella che si è venuta a determinare e senza una trasformazione dei paradigmi economici, che sia rispondente alle mutazioni del contesto globalizzato, non è possibile soddisfare le esigenze della società in cui siamo immersi. In questo senso appare evidente come gli economisti, gli esperti in scienze sociali e i filosofi abbiano un ruolo fondamentale nello stabilire connessioni, progettare nuovi modelli di evoluzioni possibili tra le varie parti della Società nella società globalizzata.
In un momento in cui i modelli economici del Novecento si trovano, come abbiamo visto, e costantemente constatiamo, in una crisi profonda e sistemica: prima la crisi del petrolio degli anni 70 e poi un’Economia che non è in grado di reggere il suo “surplus”; l’eccedenza di forza lavoro della fine della seconda guerra mondiale è stata sostituita dalla disoccupazione, che si è andata sempre più cronicizzando ed è diminuito, contemporaneamente, il potere di acquisto di lavoratori e pensionati e intaccati i risparmi delle famiglie.
In un momento in cui la crescita delle economie dei vari Stati è prossima allo zero, le possibilità di manovra in termini di redistribuzione della ricchezza e del welfare sono molte limitate. Il “libero Mercato” non è in grado di replicare la crescita economica a cui abbiamo assistito nel secondo dopoguerra. In un momento in cui la politica non è e non si sente più in grado di fornire le risposte idonee a contrastare un andamento economico stagnante: deregulation, privatizzazioni, basi tassi d’interesse che non sono stati in grado di ristabilire sicurezza e crescita economica, com’era anche naturale che fosse, essendo la crescita economica il risultato della crescita della produttività e la politica economica ha effetti molto limitati sulla crescita della produttività.
Appare evidente, in questo senso, che lo “scatto della ripresa” deve avvenire nelle aziende private. E’ qui che l’innovazione, le invenzioni, le idee si possono e devono tradurre in nuovi modi di fare business. Sappiamo tutti che le tecnologie più promettenti si basano sulle connessioni e sappiamo anche come la comunicazione sia la base della cultura, per cui ogni evoluzione in questo ambito non può passare inosservata. E’ naturale che in un contesto di questo tipo si affaccino all’orizzonte nuovi tentativi, nuove proposte di modelli economici diversi dagli esistenti che si fanno largo spinti anche dalle nuove sollecitazioni sociali e storiche in cui siamo immersi.
Un articolo dello storico ed economista Marc Levinson, pubblicato sulla rivista Harvard Business Review, sulla base di una ricerca condotta dallo Pew Research Center, sviluppa il Teorema di un nuovo modello economico che chiama: “Economia della Connessione”. “Per decenni l’Economia ha sfruttato la classe media, ma una giusta economia richiede in primo luogo una società connessa”: questo l’incipit dell’articolo. La “Società dell’Informazione” di cui si cominciò a parlare vent’anni fa sta iniziando a tramontare, cedendo il passo alla “Società della Relazione”. Grazie ai mezzi di comunicazione di massa “unidirezionali” le informazioni sono riuscite a penetrare in tutti i ceti sociali trasversalmente, come mai era stato possibile nel passato. Ora con la “Società connessa” stiamo assistendo a qualcosa di differente: mette in primo piano i valori delle relazioni, delle comunità, rispetto al concetto pure e semplice, a volte, oseremo dire, elementare di “Informazione”.
Da qui alla nascita dell’Economia della Connessione il passo è breve. Un’Economia che non è totalmente nuova, ma si basa e sviluppa valori ed esperienze appartenenti all’evoluzione dell’Umanità e ai suoi più antichi archetipi, messe in ombra, ma non eliminate dalla straripante omogeneizzazione e standardizzazione a cui abbiamo assistito nel recente passato e a cui in parte ancora stiamo assistendo dell’Era industriale e Post-industriale.
“I nuovi sistemi di comunicazione della società Connessa non creano una nuova cultura umana, una nuova Economia o una nuova Società, ma rendono possibile lo sviluppo di tendenze, comportamenti e relazioni, che permettono di creare una nuova possibilità di ricchezza”. La base dell’Economia connessa sta nelle relazioni umane. Il confine tra interno ed esterno nell’impresa diviene “fluido”. La tecnologia è uno strumento ma il suo cuore sono i “rapporti di fiducia”.
Un nuovo modello di Economia e Società che comporta e necessita di continuo aggiornamento delle competenze, integrazioni di saperi e culture, rispetto e reciproca valorizzazione delle differenze e specificità, che non devono essere livellate, ma messe nel giusto risalto per trarne il massimo vantaggio nell’ottica dell’ottimizzazione della produttività e dell’efficienza nel lavoro e miglioramento delle condizioni e della qualità di vita: “più so, più so di non sapere” la massima di socratica memoria che tutti ricordiamo. La Maieutica l’arte del conoscere.
“Panta rei” tutto cambia, tutto scorre, si evolve e si modifica continuamente e questo è quanto mai vero nell’Economia della Connessione. Vivere nel flusso, cogliere le occasioni inaspettate questo è quanto ci richiede il mondo contemporaneo.
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