Islanda in stallo?
Lo scandalo dei Panama Papers ha toccato anche la gelida Islanda provocando le dimissioni del primo ministro Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, appartenente al Partito Progressista, sostituito temporaneamente alla guida del governo da Sigurður Ingi Jóhannsson del suo stesso partito. Le conseguenti elezioni anticipate hanno visto il crollo del partito in questione ed il successo del Partito dell’Indipendenza che ha portato a casa 21 seggi. Rilevante il successo della Sinistra – Movimento Verde e, soprattutto, del sorprendente Partito dei Pirati.
Il risultato è stato che nessuna delle formazioni in lizza ha ottenuto una maggioranza per potere governare, Il nuovo presidente della Repubblica Guðni Thorlacius Jóhannesson ha conferito 3 mandati, prima ai conservatori del leader del partito dell’ Indipendenza Bjarni Benediktsson, poi alla Sinistra Verde ed infine anche ai Pirati, ma nessuno di questi è andato a buon fine. La situazione di stallo si è sbloccata a gennaio quando i tre partiti di centrodestra (Partito dell’indipendenza, conservatore, il Partito Futuro radioso, centro, e partito Riforma) hanno raggiunto un accordo per formare un governo di coalizione puntando, purtroppo, sull’euroscetticismo.
Ci si aspettava lo sfondamento del Partito dei Pirati di Birgitta Jonsdòttir, che ha raccolto un lusinghiero 14,8% dei voti, ma risultando solo la terza forza nell’Althing (il Parlamento islandese che ha un totale di 63 seggi). Anche unendosi alle altre forze di sinistra si fermerebbero a soli 28 seggi, 4 in meno della maggioranza necessaria. Senza sottovalutare le divergenze esistenti tra i Pirati e gli altri partiti di sinistra su alcuni temi chiave.
Il nuovo governo non pare intenzionato comunque a porre mano a riforme strutturali atte a combattere la corruzione e riportare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, cosa che ha fatto dire agli intellettuali islandesi, come Gerdur Kristny, grande romanziera e leader femminista, ed Einar Karason, che “il bisogno antico di certezze e compromessi col potere e la riverenza dei cittadini verso il potere continuano ad avere la meglio su voglie di riforme pur necessarie e urgenti“.
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