Italia delle Regioni

I comuni italiani in audizione alla Camera dei Deputati: “occorrono misure straordinarie a lungo termine in favore dei comuni devastati dal terremoto per evitare che la ricostruzione avvenga in territori desertificati socialmente ed economicamente”   Le Regioni possono accontentarsi della quantità delle risorse, i Comuni no. I sindaci, che in questa fase sono dei veri e propri disaster manager, devono pensare a misure a medio e lungo termine per dare continuità e speranza alle popolazioni colpite. Se sbagliamo la ricostruzione del territorio e del suo tessuto sociale ed economico ci troveremo tra qualche anno a dialogare con una comunità deserta”. Così il sindaco di Siena e delegato Anci alla Protezione civile, Bruno Valentini, durante l’audizione dei Comuni alla Camera in merito al Dl 8/2017 sui nuovi interventi urgenti in favore delle popolazioni dal terremoto.

“Il governo sta facendo bene – ha detto Valentini – ma le risorse messe in campo devono essere spese altrettanto bene, riguardando il futuro di circa 1,3 milioni di cittadini. A noi sindaci non servono misure tampone ma interventi straordinari, data la devastazione economica, sociale e culturale che il sisma ha causato. Lavoriamo perciò – ha concluso Valentini – a una ricostruzione che ridia speranza a questi territori che altrimenti saranno ricostruiti quando saranno inesorabilmente deserti”.

All’audizione, oltre ai sindaci di Teramo, Accumoli, Norcia e Crognaleto, è intervenuto anche Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno, vicepresidente Anci e delegato dell’Associazione alla Finanza locale. “E’ necessario – ha detto – attivarsi sui fronti della contabilità e bilancio, per mettere i Comuni nelle condizioni di essere esonerati dai vincoli 2017.

Serve intervenire tramite zone di fiscalità agevolata in favore dei nuclei produttivi, per tenerli sul territorio spingendoli ad investire, così da evitare la desertificazione economica di zone già fortemente colpite dal sisma. E’ solo un meccanismo da rimettere in sesto, rivedendo il modello di sviluppo del nostro Paese: il modello italiano è orientato su standard di pianura che hanno fiaccato il sistema collinare e montano. La ricostruzione tenga quindi conto della contingenza ma anche del futuro, visto che i consumi si stanno spostando tutti sulle coste marine. Altrimenti – ha concluso Castelli – si corre il rischio che la ricostruzione possa essere del tutto inutile”

La Conferenza delle Regioni italiane ha recentemente approvato un documento sulla proposta di legge che modifica la legge 394/91 e ulteriori disposizioni in materia di aree protette. La posizione delle Regioni era già stata preannunciata ed illustrata dalla coordinatrice della Commissione ambiente della Conferenza delle Regioni Donatella Spano nel corso di un’audizione parlamentare di fronte alla commissione Ambiente della Camera, presieduta da Ermete Realacci.

La legge quadro sulle aree protette, la n. 394 del 1991, ha segnato un punto di svolta storico in materia di protezione della natura ed ha consentito al nostro paese di accrescere la superficie terrestre e marina tutelata e valorizzata nel segno dello sviluppo sostenibile. L’Italia, che è uno dei paesi al mondo più ricchi di biodiversità, è oggi ai primi posti in Europa in quanto a numero ed a superficie di parchi e aree marine protette (oltre il 10% del territorio nazionale) che, sommate ai siti della Rete Natura 2000, coprono quasi il 20% del territorio nazionale. La legge ha costituito anche per le Regioni, che iniziavano ad istituire le proprie aree protette, un punto di riferimento importante per accrescere la propria azione nel campo della conservazione e della valorizzazione del patrimonio naturale.

Tuttavia, ad oltre 26 anni dalla sua approvazione, la Legge  sulle Aree protette necessita di un aggiornamento che, pur senza rivedere i principi generali che l’hanno ispirata, tenga conto delle modifiche istituzionali determinatesi nel frattempo all’interno del quadro normativo nazionale. È necessario inoltre tenere in considerazione i nuovi obiettivi e dei nuovi paradigmi coniati, in materia di la tutela della biodiversità a livello nazionale, comunitario e internazionale.

I nuovi obiettivi per la conservazione della natura, a partire dagli anni novanta, si ritrovano essenzialmente nella politica che l’Unione  Europea  ha avviato con la Direttiva 92/43/CEE (Direttiva Habitat), tesa a costruire la Rete Natura 2000 e nelle recenti strategie per la biodiversità.

In Italia un passo importante è stato compiuto – prosegue il documento delle Regioni – con l’ approvazione della legge 28 dicembre 2015, n.221 sulla di Green economy, che all’art. 70 prevede la creazione di sistemi di remunerazione dei servizi ecosistemici e ambientali e dedica l’art. 67 al capitale naturale.

Dalla lettura della proposta di legge emergono diversi elementi di novità, tra i quali: 1) L’introduzione di numerosi elementi di semplificazione e di snellimento delle norme che tengono conto dell’esperienza gestionale maturata in questi anni in materia di aree protette nazionali, regionali e locali.  Inoltre vengono rivisti, nelle fasi di formazione e di approvazione, alcuni dei più importanti strumenti di pianificazione e di programmazione dei parchi.  Le stesse aree marine protette trovano una loro collocazione più organica nel corpo della legge rispetto a quanto prevedeva la legge n.394 del 1991. 2) L’ampliamento della categoria delle aree protette: vengono inseriti i siti della rete Natura 2000, specificando quale normativa viene ad essi applicata, risolvendo quindi i precedenti problemi interpretativi e vengono inoltre inserite le aree protette transfrontaliere e la previsione di promozione di collaborazioni tra parchi. 3) Appare importante la scelta operata attraverso le integrazioni per quanto riguarda le entrate finanziarie delle aree protette e le agevolazioni fiscali. Viene introdotto il tema del rinnovo delle concessioni con il potenziale rischio di condizionamenti nell’espressione di valutazioni ambientali da parte degli enti gestori a fronte di aspettative di introiti economici; il pagamento del marchio del parco e dell’accesso al parco appaiono subalterni rispetto alle entrate generate dalle concessioni. 4) Si propone un ampliamento delle competenze del piano: il piano del parco nazionale (e di conseguenza quello regionale in una futura revisione) individua le aree contigue, i servizi ecosistemici, collaborazioni con gli agricoltori, promuove le attività compatibili. 5) Viene introdotto lo strumento del piano di gestione della fauna, pur con alcune osservazioni evidenziate di seguito. 6) Una ulteriore novità di rilevo è costituita dall’autorizzazione paesaggistica che viene attribuita anche ai parchi nazionali. Una delle proposte è di estenderla anche ai parchi regionali. 7) Una nota riguarda la sostituzione della dizione “enti parco” con “enti gestori di aree protette naturali” rispetto alla quale si pone l’attenzione di non generare possibili limitazioni all’attuale operato dei parchi regionali.

©Futuro Europa® Le immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione

Condividi
precedente

Cronaca di un suicidio

successivo

Olanda, la Crociata di Geert Wilders

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *