Cronaca di un suicidio
Nella mia lunga vita, ho già assistito al suicidio del Fascismo (ma c’era la guerra perduta, il nemico già sul territorio nazionale) e poi di una grande forza politica, la DC, al principio degli anni Novanta. Fu uno spettacolo desolante, un “cupio dissolvi” che assunse il volto torturato di Martinazzoli. Poteva salvarsi la balena bianca? Io ho sempre pensato di sì, se soltanto fosse prevalse nel suo gruppo dirigente solidarietà, compattezza, volontà di andare avanti, di riprendersi. Invece prevalsero i personalismi, le lotte fratricide, da una parte una nomenklatura stantia, che ricordava la vecchia dirigenza sovietica, dall’altra un pugno di arrampicatori scatenati, ognuno pensando al proprio tornaconto immediato, sordi e ciechi al pericolo incombente di una catastrofe.
Una spiegazione psicologica c’era: era in corso il terremoto di Mani Pulite, la Lega sfondava al Nord., il mondo della Guerra Fredda non esisteva più. Ma è nei momenti di tempesta che si manifesta la capacità di un leader o di un gruppo dirigente (purtroppo, Moro non c’era più, Fanfani e Andreotti erano azzoppati, quel che restava del potere era nelle mani dei Gava, Forlani e compagnia).
Ora tocca assistere ad un altro evento disastroso, il suicidio del Partito Democratico. Con la fine della DC il Paese perse il suo centro di gravità, l’asse su cui si reggevano maggioranze e governi e si andò allo sbando. Per ironia della sorte, gli ex comunisti, che la Storia aveva dichiarato perdenti senza appello, cambiate le vesti, passati dal rosso acceso al rosa morbido, riuscirono ad accreditarsi come successori. Ora, la fine annunciata del PD rappresenta un disastro altrettanto grande. La sua nascita, dieci anni fa, aveva significato, per la prima volta nella nostra storia repubblicana, la nascita di una forza di centro-sinistra, riformista, aperta all’economia liberale ma anche solidarista, e ancorata all’Europa. Una forza che si proponeva a buon diritto come atta a governare e modernizzare il Paese, com’è necessario se non vogliamo permanere in una triste decadenza.
Ma i fatti hanno dimostrato a più riprese che tenere insieme le varie anime della sinistra è, anche al di là delle lotte personali, impresa difficilissima, quasi impossibile. Una certa sinistra, velleitaria e suicida, non si rassegnerà mai ad accettare una socialdemocrazia riformista, non si rassegnerà mai a rinunciare ai suoi fumosi ideali terzomondisti, non capirà mai il bisogno di sicurezza della gente, che la spinge nelle braccia della destra estrema, né la sua rivolta contro le risse permanenti, per l’occupazione e l’inefficacia del potere, che la butta nella pericolosa avventura grillina. Questa sinistra è impervia ai fatti, non ha capito niente di quanto è successo nel 2013 e poi nelle comunali del 2016, non ha neppure capito che la profonda crisi di identità del centro-destra lasciava a un PD riformista un ruolo centrale, come dimostrato nelle Elezioni europee. Invece di battagliare contro gli avversari normali, si è prodigata in una logorante guerriglia contro un Segretario del Partito scelto democraticamente dalla maggioranza degli iscritti. Alcuni di questi sinistri personaggi è arrivato fino all’oscenità di brindare per la sconfitta del Referendum, come se essa non fosse stata la sconfitta, non solo di quel Segretario, ma dell’intera sinistra e l’allontanarsi di ogni seria possibilità di tornare a governare.
E ora il partito che doveva rappresentare la replica italiana dei laburisti inglesi, dei socialisti in Inghilterra, Francia, Spagna, Germania e, sì, anche dei democratici americani, sta andando in frantumi, si sta spaccando in tre, quattro pezzi, come accadde alla DC, ognuno dei quali da solo non avrà nessuna chance di vincere, quale che sia la legge elettorale, e poiché il centro-destra è per altrettanto frantumato, l’ipotesi di un governo grillino o, peggio, grillino-leghista, è molto concreta (resta solo da sperare, contro ogni evidenza, in una superstite capacità di aggregazione di Berlusconi).
Di chi la colpa? Matteo Renzi ha la sua grossa parte, con la sua supponenza, col suo stile di leadership, con le riforme affrettate e pasticciate, ma alla fine è giusto che la Storia (o, più modestamente, la cronaca) condanni soprattutto i vari Bersani, D’Alema, Speranza, Cuperlo. Di questo sinistro gruppo, solo Enrico Letta resta a parte, comportandosi con dignità. Sarebbe sperabile che ritornasse in campo, ma capisco che dubiti. Ora pare che il salvatore, il federatore del PD possa essere il Ministro Orlando. Speriamo, senza crederlo veramente.
Dobbiamo constatare alla fine, desolatamente, che una sinistra riformatrice, europea e di governo, in Italia resta un lusso impossibile, così come quello di un centro-destra liberale, moderato ed altrettanto europeo. Pare che le Elezioni si allontanino di qualche mese. Meglio così, se ciò serve a dare un po’ di respiro a centro-destra e centro-sinistra e a farli riflettere. Che lo Spirito Santo laico ci protegga.
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