UE, la Commissione striglia l’Italia
Come ampiamente preannunciato da tutti gli analisti ed economisti, fin dalla redazione della manovra nello scorso autunno quando in piena campagna referendaria l’ex-premier Renzi prometteva e firmava cambiali in bianco da ogni parte, la manovra italiana è stata bocciata dalla Commissione Europea in quanto non congrua con gli obietti vi di bilancio programmatici. Lo scostamento di cui si discute è in realtà poca cosa, un misero 0,2% sul pil, si parla di poco più di 3 miliardi euro su un pil totale di oltre 1.900; meno della tanto contestata ICI.
Le colpe sono state gettate immediatamente, da Lega e sinistra di governo, sui burocrati di Bruxelles, sulla Francia, sulla Germania della Merkel. Il neo Presidente Tajani che ha ricordato come l’Italia abbia beneficiato di ampi aiuti e flessibilità usati poi per scopi elettorali sono stati bollati come interventi politici fatti da un rappresentante di Forza Italia e non da un Presidente super-partes dal sottosegretario Gozi. Immediate anche le richieste di maggiore flessibilità da parte del governo a causa delle catastrofi naturali è stata respinta al mittente dal Commissario Moscovici che ha ricordato come i rilievi della Commissione siano precedenti ai fatti e che per quanto riguarda il terremoto erano già stati applicati i correttivi dovuti.
Quindi dove sta la verità e le responsabilità politiche? Il nucleo del disastro finanziario italiano è un misto di errori di condotta e di valutazione, di uso a fini elettorali dei soldi pubblici, che hanno portato ad un debito pubblico di ben € 2217,7 miliardi che rappresenta il 133% del pil. Una montagna non scalabile, ma che nemmeno si cerca di intaccare con politiche populiste tese al consenso e non alla buona amministrazione. Un debito pubblico di questa portata porta ad un esborso di interessi che erode totalmente ogni margine di manovra e fa temere ai creditori un possibile default dello Stato inducendoli a chiedere un maggiore aggio (il famoso spread) per remunerare il rischio. Negli ultimi 15 anni solo un paio di volte l’avanzo primario del bilancio statale (quindi al netto degli interessi) è andato in rosso, e parliamo degli anni bui allo scoppio della crisi. Tutti i patti firmati con l’Europa per la riduzione del debito sono stati via via elusi, l’ultima riduzione è da segnare al tanto vituperato Presidente Prodi, poi solo aumenti. Nel nome della lotta all’austerity ci si è continuati ad indebitarsi, ma non per fare investimenti strutturali, ma per dilapidare tutto in mance temporanee finalizzate al momento politico. Il governo Renzi-Padoan, malgrado proclami ed urla twittate ogni giorno ha messo insieme, nel 2016, ulteriori 45 miliardi di debito a carico dei cittadini italiani, e non serve certo uscire dall’euro o stampare carta moneta come umoristicamente ripetuto spesso da leghisti e grillini, uniti almeno nell’ignoranza economica, per fortuna divisi sul resto. La moneta vale per quello che rappresenta, la Repubblica di Weimar stampava francobolli da 500.000 marchi, ma chiaramente dietro il marco allora non c’era nulla.
Il debito pubblico italiano ha radici profonde come detto, non solo spese elettorali, ma anche ignoranza e presunzione, lo scandalo dei derivati, ora ufficializzato anche dalla Corte dei Conti e su cui il Ministero del Tesoro guidato da Padoan ha immediatamente alzato una cortina di ferro, ha portato al dissesto delle casse pubbliche, sia centrali che locali. Improvvisatisi grandi finanzieri, fin dagli anni ’80 i governanti italiani hanno iniziato a giocare con i derivati, semplificando all’estremo scommesse ad altissimo rischio, che la Corte dei Conti ha giudicato ora totalmente inammissibili in un ambito di finanza pubblica (usi soldi pubblici ed i cittadini non ne sono nemmeno minimamente stati informati). Il risultato è stato che l’Italia ha perso , in milioni di euro al 2015, € -3.834; la disastrata Greci appena -587; la prudente Germania € 475; ma c’è anche chi ci ha guadagnato come la Francia con una plusvalenza di € 167; la Finlandia € 757 e l’Olanda con uno splendido € 5.308. Resta il fatto che appare subito evidente l’enormità della massa su cui ha giocato e rischiato, perdendo, l’Italia rispetto ai partners europei, poi ci sarebbero tutti gli enti locali comuni in testa.
Ma stringiamo sugli scostamenti tra il previsionale di Padoan e quello della Commissione Europea, per il 2017 il programma di stabilità prevedeva per il nostro paese un +1,4%, la legge di bilancio varata si ferma al 1%, ma la Commissione non vede oltre uno 0,9%. Sull’occupazione l’Italia vagheggia di un +0,9%, la UE appena lo 0,4%, stando agli ultimi dati che sono addirittura negativi anche quest’ultimo potrebbe essere solo una pia speranza nel disastro del jobs act renziano. La UE vede anche maggiori spese e minori entrate rispetto la visione di Padoan; l’unico punto dove la Commissione è ottimista è nella produttività cui assegna uno 0,2% contro lo 0,1%, verrebbe da pensare che in Europa abbiano maggiore stima del sistema produttivo italiano dei nostri stessi governanti.
Per dovere di intelligenza e di cronaca è giusto chiarire da dove nasce lo scostamento, quando il ministro Padoan deve riempire le poste alla voce entrate, se non vuole aumentare le tasse, cosa fa? Segna un aumento di entrate dovuto alla lotta all’evasione ed all’elusione, nel 2015 il premier Renzi ne aveva parlato per ben otto volte, quasi mensilmente. Ma i numeri non sono né di destra né di sinistra, sono imparziali, infatti Gentiloni ha elegantemente e prudentemente evitato di toccare il problema, se non di striscio. Il 17 ottobre 2015 Renzi dichiarò un recupero dall’evasione di ben € 14,9 miliardi di euro, peccato che la Corte dei Conti ne abbia contati appena € 7,753 miliardi, la metà insomma, con un calo del 3,9% sul 2014, altro che lotta all’evasione. Il trucco ricorda un poco quello delle tre carte, Renzi, Gentiloni e Padoan hanno semplicemente infilato nella somma a loro avviso strappata agli evasori, versamenti spontanei, more di ritardo, voluntary disclosure. Cortina di ferro anche sugli evasori, alla richiesta di Ermete Realacci del PD di conoscere i nomi di 518 contribuenti con redditi inferiori a € 20.000 ed un jet privato, né Renzi, né il successore Gentiloni, né Padoan, hanno avuto togliersi dall’imbarazzo e rispondere, 29 solleciti parlamentari non sono stati sufficienti a portare a galla la verità.
Per chiudere ecco quanto dichiarato dal FMI nel 2015: “L’accumulo dei debiti fiscali ha assunto proporzioni allarmanti… Per il pagamento delle tasse l’Italia è al 138 posto su 189 paes.”; il resto lo aggiunse l’OCSE pochi giorni dopo “I livelli di osservanza della normativa fiscale sono bassi”.
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