La cosa rossa
E così, tanto tuonò che piovve. Ma si tratta di una pioggerella modesta: è nata la nuova “cosa rossa”, per mano dell’esimio Roberto Speranza, che ha lasciato il PD e si è unito a qualche altro (per lo più sconosciuto) reduce dell’eroica guerra contro la dittatura nazi-renziana. E per la nuova formazione ha scelto un nome alquanto complicato: “Art. 1 – Democratici e Progressisti”. Devo dire che, se ha un consigliere di “marketing”, deve essere un perfetto asino. Il richiamo, uno poi scopre, è alla Costituzione , per cui l’Italia è una Repubblica fondata sul Lavoro. Cioè, il lavoro è al centro del programma speranziano. Da realizzare come, non si dice. Ma evidentemente, per il bieco PD reziano, l’Italia è una Repubblica fondata sulle vacanze. O sulla rendita.
Ma tutto è pateticamente confuso nella nuova impresa, a cominciare del discorso con cui l’ha presentata il suo fondatore, con lo stile fumogeno e velleitario proprio di una certa sinistra: non si tratta di un nuovo partito (e figuriamoci!) ma di “un percorso” (ma che diavolo significa?), naturalmente “inclusivo”, e (auto) candidato a governare. Se la matematica non è un’opinione, on. Speranza, ci spiega con quali numeri pensa di arrivare, non dico alla maggioranza, ma almeno a una percentuale decente di votanti? Ma il fiorellino del discorso sta nell’affermazione che “Renzi magari vincerà il Congresso, ma questo (sostanzialmente) non conta, visto che Renzi divide la sinistra! Stupendo, no? Io pensavo che la prima regola della democrazia è che in un partito si votano linea politica e leader e chi perde, come si dice a Roma, “abbozza”. Ma per Speranza, evidentemente, la regola è un’altra: in un partito non conto più nulla, quindi me ne creo uno tutto mio. A questo punto, verrebbe persino da rivalutare quelli che nel PD hanno deciso di restare e dare battaglia dal di dentro. Del resto, basta guardare la faccia di Speranza, la vacuità del suo sguardo e delle sue parole, l’evidente vanità di essere finalmente un “capo” (anche se un capetto) per capire molto.
Davvero la Storia non insegna mai nulla a nessuno? Non insegna che gli scissionisti non vanno da nessuna parte? Che l’elettorato infallibilmente li punisce (e “en passant” punisce anche la forza da cui sono usciti)? Dove sono finiti i Bertinotti, i Vendola, i Fini? Tra parentesi: che ne è di Stefano Parisi, partito, come dicono gli spagnoli, “con bombos y platillos”?
Ma l’abbiamo detto tante volte che ripeterlo stanca: la capacità di una certa sinistra italiana di automutilarsi e condannarsi all’irrilevanza è davvero infinita. Peccato che questa vocazione masochistica si manifesti, non a danno di questo o quel capetto, le cui sorti importano poco o nulla, ma sulla pelle dell’Italia, che è cosa infinitamente più seria.
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