La Scozia e la Brexit
All’indomani del referendum sulla Brexit, il governo autonomo di Scozia aveva accennato all’intenzione di ripetere il referendum sull’indipendenza dalla Gran Bretagna, in modo da poter restare nell’Unione Europea. Tre anni fa, c’era stato un primo referendum, in cui i No avevano vinto con una maggioranza del 55 a 45%. Ma ora il Governo di Edimburgo sostiene che la situazione da allora è cambiata perché, quando si tenne il primo referendum, non si sapeva che la Gran Bretagna sarebbe uscita dall’UE.
Passando dalle parole ai fatti, la Prima Ministra scozzese Nicola Sturgeon [in foto, NdR] ha annunciato che il nuovo referendum si terrà entro il marzo 2019, data nella quale probabilmente si concluderanno i negoziati tra Gran Bretagna e Unione Europea per definire le modalità del divorzio. Questa volta, i primi sondaggi danno il Sì all’indipendenza della Scozia in lieve maggioranza.
Un po’ di storia per rinfrescarci la memoria. Inghilterra e Scozia sono state per secoli (direi dall’epoca del Vallo di Adriano), Stati separati e reciprocamente indipendenti. L’unione avvenne quando, alla morte di Elisabetta I, ereditò il trono inglese Giacomo Stuart, figlio di Maria Stuarda e Re di Scozia. L’unione ha funzionato sempre con difficoltà (gli scozzesi hanno un carattere fiero e sciovinista), ma ha sostanzialmente retto per secoli. Fermenti separatisti si sono però accentuati dopo la Seconda Guerra Mondiale e la dissoluzione dell’Impero Britannico, che offriva agli scozzesi vaste opportunità e campi di azione. Fu il Governo laburista di Tony Blair ad affrontare il problema attraverso la c.d. “devolution”, cioè l’attribuzione alla Scozia (e all’Irlanda del Nord) di sostanziosi poteri e funzioni, pur mantenendo l’unità della Gran Bretagna (il cui nome ufficiale, ricordiamolo, è di Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord). Il compromesso non ha soddisfatto i separatisti, da qui il primo referendum (perduto). Questa volta, però, la corda tesa potrebbe spezzarsi. Il governo di Londra, naturalmente, ha reagito negando la possibilità di un nuovo referendum in Scozia, ma poco potrebbe fare effettivamente se gli Scozzesi mantenessero il loro proposito.
Siamo, naturalmente, solo all’inizio di un processo lungo e difficile, in cui la volontà separatista di tanti scozzesi (e del loro Governo) s’intreccia coi mille problemi posti dal negoziato sulla Brexit, per non parlare delle difficoltà a Londra tra la Camera dei Lord e i Comuni sui poteri rispettivi di Parlamento e Governo in questa vicenda. C’è anche il rischio che anche l’Irlanda del Nord segua i passi della Scozia. Ma non è neppure certo che l’UE sia pronta ad accogliere nel suo seno nuove entità separate e indipendenti (alcuni Paesi, come la Spagna, timorosi delle spinte separatiste nel loro seno, potrebbero opporvisi). Ma è sempre più evidente che la sconsiderata decisione di David Cameron di indire un referendum sull’UE, la scellerata azione dei vari Farrage, la pervicacia di Teresa May, hanno messo in serio rischio l’unità di un Paese, che potrebbe vedersi un giorno ridotto alla semplice Inghilterra.
Sono rischi su cui dovrebbero meditare quanti, da noi e altrove, conducono la loro dissennata battaglia contro l’Europa unita.
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