Consiglio UE, la riconferma di Donald Tusk

Malgrado il parer negativo proprio del suo Paese, la Polonia, Donald Tusk, per altri due anni è stato confermato Presidente del Consiglio Europeo. I 27 leader hanno conferito a Tusk il suo secondo mandato: dal 1 giugno 2017 al 30 novembre 2019 e, contemporaneamente, hanno rinnovato la sua nomina a Presidente del Vertice-Euro per lo stesso periodo. Consiglio Europeo che ha visto anche l’esame, da parte dei Leader europei, di una serie di questioni urgenti come l’economia, la migrazione, la situazione nei Balcani occidentali, la questione dell’equilibrio delle nomine UE, di cui le principali sono nelle mani del Ppe, oltre che la discussione dei preparativi per il 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma.

Dal suo Paese, la Polonia, le accuse che gli venivano rivolte erano di non aver dimostrato sufficiente imparzialità “… il Presidente Tusk non ha dimostrato sufficiente imparzialità – queste le parole del Primo Ministro polacco, Beata Szydlo – ha usato la sua funzione europea per impegnarsi personalmente in una controversia politica in Polonia. Non possiamo accettare una tale condotta. Non possiamo creare il precedente pericoloso in cui un Governo democraticamente eletto di uno Stato membro viene attaccato politicamente dal Presidente del Consiglio Europeo”. Alla Szydlo si aggiunge Beata Mazurek, portavoce del partito populista polacco Pis che commentando il rinnovo di Tusk non può fare ameno di evidenziare che “…la rielezione è una decisione sbagliata che non promette all’Europa niente di buono”.

Sostanzialmente i polacchi si sono mostrati ostili alla rielezione di Tusk soprattutto pe motivi di geopolitica: Tusk è indubbiamente un premier europeista e attento ai segnali europei, per vari fattori non da ultimo per essere al suo secondo mandato come Presidente del Consiglio Europeo, mentre l’attuale Governo Polacco non dimentichiamo che, lo scorso anno, si è schierato contro i ricollocamenti dei migranti, facendo fallire le linee politiche ricevute dall’Unione sulle questioni più “calde”.

A riconferma avvenuta, Tusk twitta: “grato per la fiducia e per la valutazione positiva del Consiglio Europeo, farò del mio meglio per rendere la UE migliore” proseguendo dichiarandosi “…riconoscente per la fiducia e la valutazione positiva ricevuta” sul suo lavoro dai Capi di Stato e di Governo dell’Unione.

Dopo le elezioni, però, la Polonia, come rappresaglia, ha bloccato il testo delle conclusioni del Vertice europeo in cui erano contenute anche le decisioni in tema d’immigrazione. Il testo passerà comunque, ma come “dichiarazione della presidenza” o con la “Nota di dissenso della Polonia”. Polonia che è in fortissimo contrasto con l’attuale Commissione pur essendo un Paese, comunque, “europeista” e che continua a ritenere non praticabile una sua “esistenza” al di fuori dell’Unione Europea.

La Polonia non si dichiara “contro l’Europa”, ma contro l’assetto attuale di poteri che giudica eccessivamente invasiva dell’autonomia della propria libertà di azione e decisione: “è un’Europa della Commissione e troppo poco un’Europa degli Stati”. Vorrebbe esercitare un peso maggiore nelle decisioni di Politica strategica della UE, ridefinendole perché le trova troppo ingerenti e lontane dalle proprie esigenze.

Il rapporto della Polonia con l’Unione è un rapporto che, nel tempo, si è andato incrinando e attualmente è molto teso, come l’elazione di Tusk ha dimostrato con chiarezza a tutti: i 27 hanno votato tutti per l’attuale Presidente del Consiglio Europeo, persino il Regno Unito, a favore di Tusk hanno votato anche i Paesi alleati della Polonia, quelli del “Gruppo di Visegràd” (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), dimostrando, chiaramente, come la Polonia, nella sua linea politica e decisioni, sia, in questo senso, isolata.

E comunque è una situazione di disagio che tutti i Paesi dell’Est Europa, chi più e chi meno stanno vivendo dovuta alla difficoltà con cui riescono a stare al passo con l’evoluzione delle decisioni e scelte strategiche che interessano tutti gli Stati membri e a rimodularle sulle proprie situazioni politiche ed economiche specifiche. L’armonizzazione delle legislazioni dei Paesi orientali verso i modelli occidentali degli altri Paesi era stata proposta come un qualcosa di positivo e che avrebbe favorito il benessere e la crescita, ma questi stati si sono resi conto una volta entrati a far parte dell’unione che ad ogni nuove crisi che si profilava le impostazioni su come risolverla erano diverse attuare le Riforme imposte dall’Europa difficilissimo nel proprio particolare contesto politico ed economico.

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