Italia delle Regioni
Firenze ha ospitato questo fine settimana il G7 della Cultura, confermando il suo ruolo di Citta’ capitale della cultura rinascimentale e di luogo privilegiato di dialogo tra le nazioni, le culture e le religioni, avviato nel dopo guerra e nel periodo della guerra fredda dal sindaco ( e uno dei piu attivi membri dell’Assemblea Costituente Della Repubblica) Giorgio La Pira.
Il G7 della Cultura che si riunito a Firenze – dopo il 60 anniversario dei Trattati Europei di Roma e prima del G7 Politico che vedrà riuniti a Taormina la prossima estate i protagonisti della politica mondiale – le Città d’Arte, di cui Firenze rappresenta la splendida espressione, ma ogni Città italiana con la sua storia e la sua vita di tutti i giorni, possono rappresentare uno strumento privilegiato di reciproco rispettoso dialogo interculturale, fondato sulle rispettive solide radici, come presupposto di conoscenza, integrazione e prevenzione di conflitti personali, etnici, ed in qualche drammatico caso, terroristici.
Per i comuni italiani la cultura deve essere sempre più elemento costitutivo dello sviluppo, riconoscendo ai comuni il ruolo fondamentale e le competenze operative. “La cultura da elemento aggiuntivo deve diventare elemento centrale e costitutivo dello sviluppo nazionale. Solo facendo questo salto di approccio si potranno avere politiche e strategie nazionali organiche, che integrino al massimo il ruolo centrale che i Comuni da anni svolgono in questo settore. E si potrà arrivare ad un utilizzo ottimale di questo asset fondamentale per il nostro sistema paese. Ma per farlo bisogna sciogliere alcuni nodi, a partire dal riconoscimento delle politiche culturali e del turismo come funzioni fondamentali svolte dai Comuni”. Questo in sintesi il ragionamento affermato in svariate occasioni dai Comuni Italiani riuniti nell’ANCI, in particolare alla presenza del ministro Franceschini nel corso dei lavori di un convegno Organizzato dall’associazione dei Comuni Italiani ANCI, con i responsabili culturali dei Comuni per discutere le proposte per il rilancio della Cultura nei territori.
Secondo i comuni italiani dell’ANCI vanno, comunque, aggrediti anche altri nodi che frenano il decollo di un efficace progetto di valorizzazione culturale e turistico. A partire dalla separatezza tra le politiche dello Stato e degli enti locali: “Scontiamo un’architettura istituzionale che è un enorme elemento di debolezza, serve assolutamente una logica di integrazione tra i vari livelli di governo”. Per continuare poi con l’annosa questione delle risorse: “Abbiamo apprezzato il piccolo incremento avuto sia con il decreto sulle fondazioni liriche che con il decreto cultura. Ma in questi tempi di risorse date e definite, per gli amministratori locali bisogna puntare sempre di più sulle partnership pubblico-privato. Un passaggio che richiede un sistema normativo organico ed una semplificazione normativa che consenta di attrarre in modo efficace investimenti privati”.
L’ANCI insieme ala Conferenza delle Regioni da tempo insistono sul tema della produzione culturale, che va rivisto “a partire dalla formazione che crea i presupposti necessari per promuovere le attività dei giovani artisti, come stiamo facendo anche nella nostra realtà territoriale, infine sulla necessità di creare un sistema integrato di promozione del sistema culturale e turistico all’estero. “Lo Stato non può prescindere da una funzione di regia centrale, ma deve essere capace di valorizzare i mille territori che l’Italia ha, cosa finora non accaduta”.
I comuni italiani si sono recentemente occupati del sistema Parchi. “I sindaci sono abituati alle responsabilità, ed anche ad essere al centro delle polemiche: ‘sceriffi’ quando si impegnano sul tema della sicurezza nelle città, oppure sindaci ‘sbirri’, insieme a don Ciotti, perché vogliono difendere la legalità. Nella discussione aperta sulla riforma della legge sui Parchi stavolta, secondo taluni ambientalisti, i sindaci sarebbero pronti a svendere il territorio”. Così Bruno Valentini, sindaco di Siena e delegato Ambiente dell’Anci.
“L’enfasi usata per aumentare la visibilità sul tema ci sembra pericolosa; senza credibilità delle istituzioni non si va da nessuna parte. Al di là delle opinioni personali, la verità è che nessun sindaco può essere nominato presidente di un Parco – prosegue Valentini – e nessun sindaco sbava per avere questa ulteriore, gravosa responsabilità. La carica di presidente di un parco è incompatibile con qualsiasi incarico elettivo. Il presidente di un parco è nominato dal Ministro dell’Ambiente, e così deve restare. Il presidente del parco inoltre nomina il direttore, con le medesime modalità vigenti. Nella nomina del Consiglio direttivo del Parco, i sindaci sono due su otto, mentre i Comuni interessati ad un parco sono molti di più, talvolta arrivano a venti. La metà dei membri del Consiglio direttivo, fin dal 2013 – sottolinea il delegato Ambiente dell’Anci – è nominata dalla Comunità del Parco, cioè da chi il parco lo vive; e in questi anni la presenza dei rappresentanti delle comunità locali è stata un elemento positivo e propulsivo.
“Chi altri se non il sindaco, referente della popolazione residente nella Comunità del Parco, è in grado di conoscere e valorizzare il territorio amministrato, nell’ambito di un sistema normativo che deve garantire interessi superiori e generali, legati alla salvaguardia dell’Ambiente? La cultura e la sensibilità ambientali sono progredite ed attecchite in questi anni. Purtroppo è rimasta una componente elitaria e di nicchia, che continua a voler vedere i parchi come degli zoo o delle caserme – conclude Valentini – ovvero zone chiuse extraterritoriali, scollegate dai territori di cui fanno parte e dalle comunità che le vivono. In realtà in questi anni i parchi che sono diventati i modelli di sviluppo del territorio, le realtà che con esso hanno più forte il rapporto di scambio e connessione”.
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