Mali, giornalisti uccisi e strategia del caos
Il “sogno” è durato solo poche ore. Appena liberati quattro impiegati della società francese Areva, rapiti molti mesi fa in Niger, ai primi di questo mese venivano uccisi a Kidal, nel Nord del Mali, due giornalisti di Radio France International. Eventi che lasciano trapelare che i dossier che riguardano Niger, Mali e Sahel sono intimamente legati. Uranio e petrolio influiscono fortemente sugli eventi, spesso sanguinari e mossi da organizzazioni terroristiche, che coinvolgono molti lavoratori stranieri della regione.
Nel Febbraio del 2013, qualche giorno dopo l’attacco del sito petrolifero d’In Amenas in Algeria, la società pubblica di energia algerina Sonatrach aveva annunciato che avrebbe sospeso le operazioni di esplorazione petrolifera nel nuovo bacino di Taoudeni, nel Nord del Mali. Motivazione ufficiale: “il deterioramento delle condizioni di sicurezza nella zona”. Un’informazione lontana dall’essere una “scusa” visto che quel bacino contiene dei giacimenti che alimentano la brama di ricchezza di territori a cavallo tra Mauritania, Mali e Algeria. Alcuni Governi e lobbie petrolifere e militari (e non solo) potrebbero essere incitate per questo a mettere in atto una vera strategia del caos. La stampa algerina ricorda che dal 2007 l’Algeria fa fronte ad una dura concorrenza con le compagnie internazionali per lo sfruttamento petrolifero nel bacino di Taoudeni, compagnie come Total, Woodside, Dana, la cinese CNPCIM, la spagnola Repsol, l’egiziana Foxoil. Se nel 2006 l’ENI aveva potuto acquistare cinque licenze in partnership con Sonatrach, un portavoce del gruppo ha fatto sapere che la società aveva reso, poco tempo fa, quelle sue licenze per via “del debole potenziale della Regione”, tenendo a precisare però che le licenze erano state restituite prima dell’operazione militare Serval.
Rimane il fatto che la rivista Africa Energy Intelligence ha dichiarato lo scorso 8 Gennaio, che il 18 Dicembre del 2012, e cioè tre giorni dopo la sua riconferma al Governo, il Ministro del Mali per lo sfruttamento delle miniere Amadou Baba Sy, aveva firmato un decreto che stipulava la riconduzione allo Stato del Mali del “blocco 4” sfruttato fino a quel momento da Eni e Sipex (Sonatrach). Ricordiamo ugualmente che la mappa che indica gli insediamenti di Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb Islamico) nel Sahel corrisponde con il Bacino di Taoudeni e che le recenti scoperte di ricchezze minerarie contenute nel sottosuolo di quella determinata area provoca da diverso tempo un vivo interesse per la Regione, definendola addirittura nuovo “Eldorado”. Interesse non sempre “legittimo”.
Nel febbraio del 2011, la stampa algerina dichiarava che il gruppo francese Total e il gruppo algerino Sonatrach avevano molti progetti nel Sahel. Speravano di mettere per prime la mano sui giacimenti del Mali e del Niger. Ricordiamo anche che a tre mesi dalle elezioni presidenziali in Mali, il Governo, già sottoposto alla pressione dovuta a diversi rapimenti da parte di Aqmi e alla minaccia di una crisi alimentare, aveva dovuto contenere una nuova ribellione Tuareg e un colpo di Stato. Questi attacchi sono ripresi dopo il ritorno dalla Libia di centinaia di uomini armati che avevano combattuto accanto alle forze di Gheddafi.
Tuareg e armi, un binomio che ha preoccupato il Governo del Mali sin dall’inizio della guerra civile libica, periodo che coincideva con la “scoperta” del famoso nuovo “Eldorado”. Precisiamo che le popolazioni nomadi originarie del Mali, del Niger e dell’Algeria hanno, sin dagli anni ’80, trovato rifugio presso il defunto leader libico, promettendogli di mettere in sicurezza il Sud Sudan in cambio della sua “protezione”. A Bamako e a Niamey, i dirigenti politici temevano già allora che la caduta di Gheddafi provocasse un reflusso massiccio di rifugiati Tuareg in un Sahel già molto fragile, una situazione che avrebbe potuto portare alla destabilizzazione della Regione.
La morte dei due giornalisti francesi sono la dimostrazione della grave situazione della sicurezza nel Sahel e soprattutto nel Nord del Mali, nei territori di Kidal e Gao dove trafficanti, jihadisti e gruppi criminali agiscono indisturbati nonostante la presenza di soldati stranieri, di poliziotti e soldati del Mali, di ribelli impegnati in un processo di negoziato e delle autorità locali tradizionali o rappresentanti il potere centrale. La Francia ha accusato moltissimo il colpo causato da queste morti, tanto da aver denunciato l’Europa di “codardia”. In Francia ci si chiede fino a quando il Paese dovrà sostenere il ruolo di “gendarme” in Mali. Quanti giornalisti dovranno essere ancora assassinati e quante persone rapite prima che i “partner europei” non si limitino a giocare il ruolo di generosi donatori e che le “eminenze grigie” di Bruxelles si risveglino dal torpore? Si chiedono i francesi. Parigi non trova più giusto dover portare avanti, sola, il ruolo principale nella caccia agli jihadisti, anche se questo ruolo ha dato a Hollande (nonostante le critiche di molti suoi detrattori) una statura internazionale di non poco peso. Ma ha anche fatto si che questa guerra moderna, planetaria sia diventata un faccia a faccia Francia/Al Qaeda. Prova ne è la rivendicazione del duplice omicidio da parte di Aqmi e le minacce dirette a “François Hollande e il suo popolo”. Ma non si è fermata a questo, ha giustificato la morte dei due giornalisti per “gli attacchi dell’Occidente contro i musulmani”. Ci siamo dentro tutti. Gli olandesi hanno dato il via ad un cambiamento di rotta inviando 150 uomini. Non che possano influenzare gli equilibri, ma sicuramente un segnale forte. Perché non si può allora pensare che Italiani, Spagnoli, Portoghesi, Tedeschi e altri facciano anche loro un gesto simbolico per mostrare che la lotta contro il fondamentalismo armato è un caso che coinvolge tutte le democrazie e non solo la Francia? E’ vero che Hollande ha voluto con tutte le sue forze mettere in piedi questa operazione titanica. Oggi però i civili francesi sono oggi uno degli obbiettivi più in vista per i terroristi e noi non siamo da meno. Le forze francesi e la Minusma da sole possono fare poco, non tanto dal punto di vista militare quanto psicologico: il terrorismo islamico colpisce su scala planetaria e colpisce tutti noi “infedeli”.
Tra poco ci saranno le elezioni politiche in Mali e il Presidente Ibrahim Boubacar Keita ha bisogno anche della legittimazione dell’Europa affinché il suo Paese risorga dalle macerie e non diventi un nuovo Afghanistan. Rendere stabile il Nord del Mali significa, se non sconfiggere, per lo meno boicottare l’impianto di nuove forze jihadiste in un territorio che potrebbe veramente cambiare la vita del Paese. Un piccolo passo verso la democrazia e un gesto di solidarietà a tutti quei morti per una guerra subdola e ingiustificabile.
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