Le contraddizioni di Trump
L’uso delle armi chimiche contro una popolazione civile è uno dei crimini più odiosi che si possano commettere. Se Bashar Assad è tornato a rendersene colpevole, va condannato e, se possibile, punito. È frustrante che il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite non riesca a decidere nulla per il veto della Russia. Putin ha molti ammiratori in Europa, per lo più nella destra estrema (è un fenomeno che dovrebbe essere studiato). I suoi fan dovrebbero riflettere sul suo spregiudicato cinismo, tipico della sua formazione KGB.
Ma la reazione di Trump, di bombardare con missili Tomahawk una base aerea siriana non mi sembra affatto corretta. Non è un atto di autodifesa, perché Assad non aveva attaccato alcun interesse americano. È una “punizione” che nessuno ha il diritto di applicare unilateralmente, neppure gli Stati Uniti. Poiché dubito molto che Trump sia una persona suscettibile ai valori umanitari, credo che la motivazione politica della sua decisione vada cercata altrove che nella santa indignazione, che naturalmente tutti – tranne i russi – provano per i crimini del regime siriano. Credo che la sua scelta di attaccare sia dovuta a motivazioni meno nobili: mostrarsi forte e deciso dove Obama aveva esitato e si era poi tirato indietro; mostrare che nei rapporti con la Russia egli non è in alcun modo succube di qualche strana simpatia o oscuro debito verso Putin e mettere a tacere il “Russiagate” che opposizione democratica e organi di stampa del peso del Washington Post stavano conducendo con spietato vigore, come ai tempi della campagna contro Nixon.
È certo, infatti, che con l’attacco alla Siria le prospettive di un riavvicinamento russo-americano si allontanano di molto, ed è questo molto probabilmente qualcosa che organi di intelligence e apparato militare di Washington volevano. Se si volesse fare un po’ di dietrologia, si potrebbe pensare che l’incidente sia venuto apposta per mettere un grosso bastone nelle ruote della politica di Trump verso Mosca. L’attacco al principale alleato della Russia è, infatti, in contraddizione netta con i propositi dialoghisti proclamati durante la campagna elettorale. Non solo, ma la richiesta di Washington che Assad se ne vada è in contraddizione con quanto fino a poco fa diceva il Segretario di Stato USA, secondo cui la permanenza o no del dittatore siriano al potere dipendeva “dal popolo siriano”. E con la tesi secondo cui il nemico non era Assad, ma l’estremismo islamico e l’ISIS.
Siamo dunque davanti a una svolta nella politica di Trump, che smentisce la linea delineata nella campagna? Apparentemente sì. Gli europei devono averlo pensato, se tutti, da Hollande alla Merkel, Gentiloni compreso, si sono affrettati, sia pure con gradazioni diverse, ad appoggiare la decisione di Washington.
I suoi effetti, però, sono tutti da vedere. La situazione in Siria è troppo complessa perché si possa pensare di illudersi di risolverla con un’azione militare (sia pur limitata e “chirurgica”). Questa non fa piuttosto che complicare ancora di più la ricerca di una soluzione, per cui è probabile che il conflitto in quel disgraziato Paese sia destinato a durare e aggravarsi ancora. E intanto si è riacutizzata la tensione con la Russia, che non poteva ovviamente che reagire mostrando i muscoli. Per cui avremo ancora maggiore presenza militare russa nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Per chi proclamava che la NATO era superata, non è davvero un gran risultato.
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