Tribunale Ivrea: uso scorretto telefonino causa tumore
È l’uso scorretto del telefonino, e non il dispositivo in sé, a poter essere causa di patologie: questo è il messaggio che si ricava dalla sentenza del tribunale di Ivrea che ha condannato l’Inail a corrispondere un vitalizio da malattia professionale ad un lavoratore dipendente che per anni ha usato il cellulare per più di tre ore al giorno senza precauzioni, contraendo un tumore benigno ma invalidante il suo udito. In sostanza, la sentenza non ha fatto che confermare un principio antico quanto il rapporto tra l’Uomo e la Tecnologia da lui prodotta: gli strumenti tecnologici non sono ‘buoni’ o ‘cattivi’ in sé, ed il risultato ‘buono’ oppure ‘cattivo’ del loro utilizzo dipende dall’uso che se ne fa. E’ stato così per l’uso dell’atomo, e prima per quello del ferro, e del fuoco; e prima ancora per l’utilizzo dei ‘chopper’, le grosse pietre scheggiate dei nostri progenitori del Paleolitico: tutte invenzioni pensate in senso ‘buono’, per procurare all’uomo energia e cibo, ma poi utilizzate dall’uomo anche in modo ‘cattivo’.
Gli strumenti di uso comune che emettono campi elettromagnetici, come i telefonini, ripropongono, oggi, lo stesso problema. Infatti, “Sulla base dei criteri elencati nel preambolo delle monografie della Iarc, le emissioni a Rf/Mo dei telefoni mobili (cellulari e cordless) dovrebbero essere classificate nel gruppo 1 dei sicuri cancerogeni per l’uomo”, ha scritto il professor Angelo Levis nella consulenza prestata in tribunale a Ivrea; ma sul piano internazionale la questione è ancora in discussione, le ricerche sono in corso e ancora non concluse, anche perché dall’introduzione su larga scala dei primi apparecchi solo ora cominciano a potersi manifestare patologie che hanno un periodo di sviluppo lungo come i tumori; e, nel frattempo, i singoli individui avrebbero potuto essere stati esposti a talmente tanti fattori ambientali potenzialmente cancerogeni da rendere difficilmente decifrabile la relazione diretta tra eventuali tumori e telefonini come loro prima causa. Senza contare l’ulteriore difficoltà che una simile ricerca incontra, dovuta al fatto che da una parte apparecchi e sistemi sono molto diversi tra loro e in continua evoluzione, e dall’altra che gli individui possono essere più o meno predisposti al rischio a causa dei fattori genetici di rischio individuali: fra gli altri alcuni determinati tipi di personalità o l’accadimento di eventi traumatici, che possono diminuire l’efficienza del nostro sistema immunitario il quale, in condizioni normali, distrugge le cellule tumorali che fisiologicamente si formano.
Per questo, se da una parte uno studio dell’agenzia federale statunitense National Toxicology Program pubblicato nel 2016 ipotizza che l’esposizione alle radiofrequenze tipiche dei telefonini aumenta alcuni casi di cancro, dall’altra una ricerca pubblicata sul British Medical Journal affermava nel 2011 che non esiste alcuna relazione tra i cellulari e l’insorgenza dei tumori. Per questo, sulla base di una massa di dati eterogenei dovuti ad una serie davvero notevole di ricerche, nel 2011 l’OMS ha definito i campi magnetici come solo ‘possibly carcinogenic’. Al momento non esistono, insomma, conclusioni largamente condivise: ma emerge che l’utilizzo scorretto del telefonino può collegare in alcuni casi l’apparecchio stesso ad alcune patologie. Appare quindi necessario decidere cosa fare dello strumento tecnologico che si ha in mano. E’ cioè il momento, ancora una volta, di adottare decisioni sul piano pratico, ma a partire da un piano etico.
Ma come fare? Senza dati su larga scala, senza certezze scientifiche condivise da una parte, e di fronte, dall’altra, al moltiplicarsi di allarmi e smentite in un dibattito mediatico – che come spesso accade è fondato più sui ‘si dice’ che su dati certi – che fare dei telefonini? Come regolarsi? Certo, sul piano logico, di per sé radicale. se un rischio del genere si dà per possibile, allora a rigore sarebbe solo la sua rimozione, attraverso l’allontanamento fisico tra corpo umano e telefonino, a scongiurarlo: ma trasferendo il ragionamento dal rigore logico al contesto pratico, nel quale vanno considerate tra l’altro l’utilità e la diffusione dei telefonini, servono idee di tipo diverso. Il miglior suggerimento su questo piano sembra venire da un pronunciamento del Consiglio d’Europa, organizzazione finalizzata alla tutela dei diritti dell’uomo, che ha detto ‘no’ ai telefonini nelle scuole, citando anche i collegamenti fissi e wi-fi. Il pronunciamento merita attenzione per l’esempio, sul piano pratico appunto, fornito dalla soluzione indicata; ma soprattutto perché, in un’epoca di estremismi dilaganti, è un vero e proprio paradigma di buon senso: risponde infatti al criterio di ridurre, in caso di incertezza, i pericoli potenziali; in questo caso quelli derivanti dall’esposizione ai campi elettromagnetici.
Il pronunciamento del Consiglio d’Europa non sorge dal nulla, ma ha un fondamento concreto: risponde infatti al ‘Principio di Precauzione’, citato nell’articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Il Principio di Precauzione ha lo scopo di garantire un alto livello di protezione dell’Ambiente grazie a prese di posizione preventive in caso di rischio; ma il suo campo di applicazione è molto più vasto e si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale. Il Principio, quasi sintesi della saggezza del Vecchio Continente, è quindi un riferimento etico al quale guardare: la stessa precauzione possiamo infatti adottare nell’uso quotidiano di ogni tecnologia. A cominciare proprio dal telefonino: limitandone l’uso di giorno, utilizzando il viva voce o almeno gli auricolari – che pur non essendo ‘neutri’ riducono notevolmente il contatto tra onde e cervello – e spegnendolo di notte, anche per un benefico reset. E poi “usando soprattutto chat, messaggini e social: una modalità che dovrebbe limitare eventuali rischi”, come spiegato dal pediatra di Milano Italo Farnetani, ordinario alla Libera Università Ludes di Malta.
Quello che la vicenda insegna è che, ancora una volta, tra la mente e lo strumento che ha in mano, l’uomo deve interporre un atteggiamento e poi un comportamento etico. E’ ora di riscoprire Il principio di responsabilità, come recita il titolo del capolavoro del filosofo tedesco Hans Jonas, pubblicato nel 1979, che continua Ricerca di un’etica per la civiltà tecnologica.
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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]