Africa, bersaglio preferito degli jihadisti
Recentemente, cinque capi jihadisti sono apparsi in un video di sette minuti girato nel Sahel. Per voce del capo jihadista maliano Iyad Ag Ghali, i gruppi Ansar Eddine, El Mourabitourne e il Fronte di Liberazione del Macina, gruppi terroristici che operano soprattutto nel Nord del Mali, annunciano non solo l’intenzione di estendere il loro campo di attività (terroristica) e rispettivi obiettivi, ma anche l’unificazione dei diversi gruppi armati in una sola entità: Nusrat al Islam wal Muslimin (NIM).
La lista comprende undici Paesi del continente africano, americano e dell’Europa (Stati Uniti, Germania, Francia, Olanda, Svezia, Ciad, Guinea, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Senegal, Niger) considerati come “nemici”. Capolista rimane la Francia, considerata dal gruppo terroristico come nemico prioritario. La Francia è stata addirittura definita da Ag Ghali, in un’intervista al giornale di Al Qaeda in Yemen Al Mousri, “nemico storico dei musulmani di questa parte del Mondo”. Il leader del nuovo gruppo terroristico NIM ha anche svelato la strategia che verrà adottata per portare avanti le operazioni nei Paesi che rientrano nella loro “lista nera”. Cercheranno di “estendere la loro presenza in uno spazio geografico più grande, di indebolire il nemico e di colpirlo ovunque esso si trovi”. La cosa più allarmante è che per fare ciò contano sul supporto di molti simpatizzanti e di molte filiere, l’obiettivo è “addestrare la gente contro il nemico, cercare l’appoggio popolare e rafforzare le relazioni con le popolazioni”.
Sul piano strettamente militare, Nusrat al Islam wal Muslimin intende portare avanti essenzialmente operazioni di guerriglia e classiche tecniche di guerra. Da come viene descritta, la strategia del nuovo gruppo terrorista tende a fare di Ag Ghali un grande capo terrorista regionale che domini una grande parte di Africa francofona, incluso un “corollario” di bersagli remoti. Sembra inverosimile, ma l’instancabile Ag Ghali rimane una seria minaccia per tutta la regione del Sahel e del Sahara dove già controlla gran parte del territorio e della popolazione. Ma non è tutto. Il suo messaggio si rivolge anche ai gruppi terroristici che operano sotto l’egida del sedicente Stato Islamico che minano la sua autorità e i suoi interessi nella regione. Gruppi con i quali ha escluso la possibilità di un qualsiasi avvicinamento, come hanno anche confermato il numero due del NIM, Mokhtar Belmokhtar e il capo del Macina, Amadou Kouffa, definendoli gruppi troppo lontani ideologicamente per visione e obiettivi. In poche parole, dei nemici. Questo è un esempio per mostrare quanto l’Africa, tra mille sfide debba anche affrontare quello del terrorismo. Un problema di non poco peso.
Stato Islamico, Shebab, Ansar Beit al-Maqdess o ancora Gruppo Sunnita per la predicazione e il jihad (ex Boko Haram). Tanti gruppi armati islamisti che agiscono per motivazioni politiche e regionali diverse, ma che rivendicano tutti l’instaurazione della Sharia. Quanti sono? Attraverso i dati incrociati rilevati dal Comitato contro il terrorismo, incaricato con le risoluzioni 1373 e 1624 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dal Global Terrorism Index e dal Centro americano per la sorveglianza dei siti jihadisti (SITE), sono stati classificati otto gruppi principali affiliati al sedicente Stato Islamico o ad Al Qaeda, che raggruppano più di 52400 combattenti. La maggior parte di questi gruppi islamisti sono emersi in Africa all’inizio del 2000. Se ne trovano altri altrove nel Mondo, ma è in Africa che i combattenti sono più attivi: dal Burkina Faso al Mali passando per il Camerun, il Ciad, il Kenia e la Somalia. Solo l’Africa australe e la Regione dei Grandi Laghi sembrano essere risparmiate dagli attacchi jihadisti. I tre Paesi nella striscia del Sahel e Sahara, Mali, Niger e Burkina Faso, sono stati colpiti da almeno 257 attacchi nel 2016, un incremento del 150% rispetto all’anno precedente. Ad Ovest, la Nigeria è il primo obiettivo del terrorismo, con più di 9000 attribuite all’ex Boko Haram dal 2002. Seguono Somalia, Camerun e Algeria. I Paesi più colpiti dagli attentati sono i luoghi di insediamento storico di questi combattenti.
Quanto al raggio d’azione dei gruppi jihadisti, questo si è esteso man mano che cresceva la loro forza. Seminano terrore e uccidono civili su tutto il Continente, prendendo di mira sia le popolazioni musulmane che cristiane. In totale, in dieci anni, non meno di 28500 persone sono state uccise nel corso di centinaia di attentati. Il Gruppo Sunnita per la predicazione e il Jihad (ex Boko Haram) è di gran lunga il ramo più sanguinario di Daesh con più di 2480 attacchi dal 2002 ad oggi. Tuttavia è il Mali il Paese ad aver registrato la maggior crescita degli attentati negli ultimi mesi: il più recente è quello perpetrato a Boulekissi, città di frontiera con il Burkina Faso. Le sparatorie e le auto bomba fatte esplodere dai kamikaze in luoghi pubblici sono il modus operandi più conosciuto. Portano a massacri di massa, come il terribile attacco a Grand-Bassam, in Costa d’Avorio, che il 13 Marzo del 2016 costò la vita a 19 persone. Di fatto, ogni gruppo jihadista à la sua tattica. L’ex Boko Haram ha utilizzato giovani kamikaze. Secondo un Rapporto pubblicato dall’Unicef nel 2015, più del 75% di loro erano poco più che bambine. Altri esempi: il ramo egiziano di Daesh utilizza autobomba e gli shebab si distinguono per attacchi terrificanti nei grandi alberghi, soprattutto di Mogadiscio, la capitale somala.
Cosa fanno per contrastarlo? Fino ad oggi il problema non era stato affrontato unitariamente se non contando sull’aiuto dei Caschi Blu delle Nazioni Unite. Oggi si punta di più su di un lavoro di intelligence, come evidenziato dall’ultimo summit voluto dal Comitato per la sicurezza e per l’intelligence dell’Africa (CISSAA, ramo dell’Unione Africana che si occupa di sicurezza e che raggruppa 27 servizi di intelligence africani) che si è tenuto a Khartoum in Sudan lo scorso 5 Aprile. Si parla anche di collaborazione con il Marocco,noto per la grande esperienza nell’antiterrorismo nell’ambito della cooperazione Sud-Sud voluta dal Re Mohamed IV. L’Unione Africana si (ri)costruisce anche grazie alla collaborazione e determinazione comune per sradicare una piaga che non può non essere considerata tra le priorità in un Continente che vuole crescere.
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