Cronache dai Palazzi
Il Parlamento è di nuovo all’opera per una nuova legge elettorale. Dopo il richiamo del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – quasi una messa in mora all’intera classe politica – l’Aula di Montecitorio dovrà necessariamente portare a termine la riforma del sistema di voto prima delle prossime elezioni, nemmeno tanto lontane.
Il capo dello Stato ha voluto ricordarlo “con un atto forte ma rispettoso delle prerogative del Parlamento”. Sergio Mattarella ha così convocato al Quirinale la presidente Laura Boldrini e il presidente Grasso, per far sì che deputati e senatori non gettassero nel dimenticatoio “l’urgenza di provvedere sollecitamente al compimento di due importanti adempimenti istituzionali: la nuova normativa elettorale per Camera e Senato e l’elezione di un giudice della Corte costituzionale”. Come ha ricordato il presidente Mattarella è necessaria una “armonizzazione” dei sistemi di voto delle due Camere che nello stato attuale sono diversi: l’Italicum per la Camera dei deputati, la legge precedente per il Senato della Repubblica, così come modificata dalla Corte costituzionale, il Consultellum. Se non si apportassero le dovute correzioni, nella situazione così data, si potrebbero avere paradossalmente due vincitori, ognuno per un ramo del Parlamento, generando ovviamente una certa ingovernabilità che non lascia indifferente il capo dello Stato. Mattarella inoltre ha più volte ribadito di non gradire ritocchi mordi e fuggi, da varare magari per decreto anziché attraverso l’appropriata formula del disegno di legge. In sostanza, è arrivato il momento di fare una sintesi tra Italicum, Mattarellum, Consultellum e Legalicum.
In pratica niente elezioni anticipate in assenza di un’intesa, che dopo l’appello del capo dello Stato appare irreversibile e quantopiù doverosa. Il Pd fa appello anche ai grillini. Entrambi sembrerebbero d’accordo sul premio di maggioranza dato al partito e sul ritocco delle soglie di sbarramento, magari uniformandole al 5%. Resta poi il nodo dei capilista bloccati che la Consulta non ha toccato e che Renzi si dichiara “assolutamente disponibile a togliere”. L’accordo con i pentastellati non esclude però una eventuale intesa con il fronte di destra, e quindi con Forza Italia, anche se dopo l’elezione del presidente della commissione Affari costituzionali (Salvatore Torrisi) le mosse dei forzisti non sono poi così cristalline agli occhi dei dem, soprattutto dei renziani.
Servono comunque regole chiare affinché “gli elettori possano esprimere con efficacia la loro volontà”, come ha sottolineato il presidente della Repubblica. La Camera si è quindi attivata, tantoché il 2 o 3 maggio la I Commissione presieduta da Andrea Mazziotti (Sc) dovrebbe presentare un testo base, mentre il 12 maggio è il termine ultimo per gli emendamenti. Dopo il varo della Commissione previsto per il 23 maggio, si dovrebbe andare finalmente in Aula il 29. Ricapitalondo, capilista bloccati, preferenze di genere, soglie di accesso e premio di maggioranza al primo partito sono i nodi più intricati. Il presidente Mazziotti raccogliendo le buone disposizioni di Emanuele Fiano (Pd), dei leghisti, di Forza Italia e di Mdp (bersaniani) ha interpretato la situazione come un possibile via libera al cosiddetto “Provincellum”, ossia un proporzionale con i collegi uninominali e senza preferenze che provocherebbe però un’accesa competizione all’interno dei partiti, non conferendo inoltre ai leader alcuna ben minima certezza, tantomeno la sicurezza al 100%.
Per applicare il suddetto Provincellum Renzi, Grillo e Berlusconi dovrebbero rinunciare ai 100 deputati certi con i capilista bloccati. Non a caso Matteo Renzi ha già apertamente dichiarato la sua ostilità al Provincellum: “Non facciamo giochini. È un sistema che non ha preferenze, che fa finta di avere i collegi, ma poi non si sa se passa il tuo candidato o no. È un sistema che giova a chi non ha un voto. A noi serve un sistema chiaro per cui se voto Renzi so che eleggo Renzi”. Anche Angelino Alfano (Ap) non condivide l’impianto del Provincellum, oltreché il premio di maggioranza al partito e le soglie troppo alte per il Senato (l’8% a livello regionale) che Renzi vorrebbe invece preservare. Tutti nodi difficili da sciogliere che rendono la partita della legge elettorale non semplice da giocare.
Su un altro fronte, quello dei migranti nel mar Mediterraneo, scoppia il caso Zuccaro. Il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, dichiara in tv che “alcune Ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti di uomini” e, per di più, “la finalità potrebbe essere quella di destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”. Le parole del procuratore suscitano l’irritazione del governo, tantoché il ministro dell’Interno, Marco Minniti, e il guardasigilli Andrea Orlando non esitano a rispondere, invitando Zuccaro a “non trarre conclusioni affrettate”, bensì, “parlare con gli atti”. Veloce la replica di Zuccaro che ha precisato: “La Procura di Catania ha delle ipotesi di lavoro, che non sono al momento prove, neppure quella sui loro finanziamenti”. Secondo il Viminale “le polemiche prive di riscontri non aiutano il negoziato con la Libia”. Pentastellati e leghisti prendono comunque la palla al balzo per ribadire il loro no al traffico clandestino; per Matteo Salvini “bisogna arrestare i trafficanti e affondare tutte le navi usate”.
I ministri Minniti e Orlando hanno comunque sottolineato la necessità di “parlare attraverso le indagini”, in primo luogo per evitare “generalizzazioni” favorendo, al contrario, “una rigorosa valutazione degli atti”, come ha ribadito Minniti in Parlamento. Il ministro dell’Interno ha inoltre ricordato che, oltre alle indagini svolte dalla Procura di Catania, “la commissione Difesa del Senato sta svolgendo una serie di audizioni, e ha preannunciato sue conclusioni entro la prima settimana di maggio”.
Fa parte dell’indagine parlamentare anche l’audizione del comandante della Guardia costiera Vincenzo Melone, fissata per il 4 maggio. Melone avverte che spesso sono gli stessi scafisti a contattare la Guardia costiera per ricevere i soccorsi, e “chi ha ricevuto per primo la chiamata di emergenza ha l’obbligo giuridico di proseguire nell’attività di soccorso”. In pratica ai soccorsi non ci si può sottrarre e, per di più, “la violazione di tale obbligo, oltre alle implicazioni di ordine morale, prevede conseguenze penalmente rilevanti”, aggiunge il comandante generale della Guardia costiera. Le numerose polemiche, infine, non aiutano il negoziato con la Libia, per cui occorre evitare “generiche accuse, non suffragate ancora da riscontri concreti”, sottolinea il Viminale. L’Italia, a sua volta, si è impegnata a consegnare al Paese africano alcune motovedette chiedendo in cambio il controllo delle coste e delle spiagge.
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