La via degli angeli (Film, 1999)
La dedica A nostra madre tradisce sin dalle prime sequenze la genesi del film, che scaturisce da un grande dolore sofferto dai fratelli Avati: la perdita della mamma, avvenuta il 5 gennaio del 1999, che fa nascere l’idea di raccontare l’amore contrastato vissuto dai genitori. La protagonista è Ines (Cervi), una dattilografa che s’impiega in una bottega antiquaria e subito perde la testa per Angelo, il figlio del padrone (De Rienzo), ma comprende che il ragazzo è troppo attratto dalle donne del suo mondo per accorgersi di lei, ragazza di umili origini contadine. Alla fine l’amore trionfa, la storia impossibile diventa realtà, prima nella vita – perché è la vera storia dei coniugi Avati -, poi nella rappresentazione cinematografica.
La parte vera del racconto viene inquadrata da Pupi Avati in una riuscita cornice fantastica, tramite un personaggio scritto su misura per Gianni Cavina, confezionato sulle sue caratteristiche umane e psicologiche. Cavina non ha neanche un nome, tutti lo chiamano il fratello di Loris e all’inizio di ogni estate attraversa la montagna per convincere i contadini a partecipare al gran ballo nella discoteca del fratello, magnificando leggendarie possibilità di conquiste femminili. Un altro personaggio riuscito è il dottore di Fiumalbo, interpretato da un ispirato Delle Piane, abbandonato dalla moglie, che intraprende il viaggio verso la balera nella speranza di ritrovarla, ma ottiene soltanto l’ultima delusione. Il fratello di Loris muore tra le braccia del medico dopo un ultimo attacco di cuore, ma l’impresa è compiuta, ha portato un gruppo che ricorda il quarto stato di Pellizza da Volpedo all’appuntamento del gran ballo di inizio estate.
Un film corale, tipico del cinema di Avati, soprattutto nella parte campestre, popolata da personaggi simbolici del suo mondo onirico. Notevoli i personaggi interpretati da Eliana Miglio, affascinante vedova gaudente, e da Chiara Muti, scrittrice indignata che racconta le poco eroiche gesta familiari. Molti usi e costumi degli anni Venti ben riprodotti, sullo sfondo di un’Italia fascista dove c’è chi ha il coraggio di farsi beffe degli squadristi annunciando un finto arrivo di Italo Balbo. La via degli angeli profuma di Amarcord felliniano, scandito in brevi capitoli introdotti da titoli poetici, scritto con enfasi lirica e dolce tormento, mai retorico, ma profondamente sentimentale. La penna dei fratelli Avati è intrisa di languida poesia, si tuffa a piene mani nella nostalgia, pescando ricordi, immagini, sensazioni e profumi del passato. Fotografia intensa di Bastelli che immortala le colline bolognesi e l’Appennino, musica indimenticabile di Ortolani, montaggio dai ritmi compassati di Salfa. Esterni che vanno dall’Appennino Tosco Bolognese – già teatro di Gita scolastica – a Todi, passando per Roma e Bologna. Carlo Simi, scenografo di Sergio Leone, ricostruisce la balera da grande artista e riproduttore di interni, mentre la bottega antiquaria del futuro suocero è situata a Roma.
Storia di amori impossibili e di persone che decidono di vivere, finalmente, la loro improbabile avventura, interpretata da un gruppo di attori che segue alla lettera le disposizioni di Avati. Bravissima Chiara Cervi, nipote del grande Gino e figlia del non meno bravo Tonino, che possiede un volto dolce e gentile ma sfoggia un carattere deciso e sicuro. Libero De Rienzo è un Angelo perfetto ed è alla sua prima prova da vero attore dopo aver fatto solo alcuni intermezzi pubblicitari. Delle Piane e Cavina non li scopriamo in questo film, il primo è l’attore feticcio di Avati, vive in simbiosi con il regista che l’ha scoperto, mentre il secondo è adattissimo alla parte. Dice il regista che “i due personaggi sono stati cuciti sugli interpreti prescelti, scritti apposta per loro”. Ed è vero. Nonostante tutte le sciocchezze che scrivono i critici alti (Mereghetti, Farinotti), un film imperdibile, un piccolo capolavoro di languida poesia.
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Regia: Pupi Avati. Idea: Ines Vigetti, Marco Bernardini. Soggetto e Sceneggiatura: Pupi Avati, Antonio Avati. Montaggio: Amedeo Salfa. Fotografia: Cesare Bastelli. Scenografia: Carlo Simi. Direttore di Produzione: Tommaso Pessina. Costumi: Catia Dottori. Musiche: Riz Ortolani (composte e dirette). Edizioni Musicali: Rti Music, Curci srl. Aiuto Regia: Daniele Cascella. Operatore alla Macchina. Antonio Schiavo – Lena. Fotografo di Scena: Piero Salvatore Abate. Fonici: Raffaele De Luca, Roberto Serra. Collaborazione alla Regia: Daniele Aliprandi, Giulietta Mastroianni, Roberto Farina, Stefania Piantanelli. Consulenza Storica: Mario Canetti. Casa di Produzione: Duea Film, Medusa Film (collaborazione). Distribuzione: Medusa. Produttori: Antonio Avati, Fiorenzo Senese. Pellicola: Kodak. Colore: Cinecittà. Girato: Technovision. Mixage: Alberto Doni. Edizione: Fono Roma. Esterni: Bologna, Roma, Todi, Appennino Tosco Emiliano. Interpreti: Gianni Cavina, Valentina Cervi, Carlo Delle Piane, Libero De Rienzo, Eliana Miglio, Chiara Muti, Paola Saluzzi, Mario Maranzana, Toni Santagata, Cinzia Mascoli, Teresa Ricci, Chiara Sani, Pino Strabioli, Francesca Fava, Cristina Spina, Joyce Pitti, Massimo Sarchielli, Francesca Romana Coluzzi, Irene Turati, Alberto Caneva, Marcello Foschini, Alessandro Luci, Sergio Tradioli, Umberto Bortolani, Bruno Casalboni, Dodo Oltrecolli, Bruno Marinelli, Manuel Scorcia, Claudio Pierantoni, Natascia Macchniz, Giulio Brunetti, Micaela Ramazzotti, Francesca Chiarantano, Angelo Botti.
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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]