Le Primarie del PD
Matteo Renzi ha conseguito domenica scorsa un doppio successo: per l’alta affluenza al voto (diminuita rispetto al 2013, è certo, ma molto superiore alle previsioni) e per aver stravinto, col 70% dei suffragi rispetto ai suoi rivali, il modesto Orlando (fermatosi al 20%, proprio lui che veniva indicato come il futuro e la salvezza della sinistra) e l’insignificante Emiliano, che ora può vantarsi solo di aver vinto in Puglia.
Credo, personalmente e in tutta coscienza, che Renzi meritasse questo successo. L’Italia ha più che mai bisogno di una sinistra riformatrice ed europea, lontana dalle pericolose e suicide illusioni dei centri sociali e della sinistra radicale, e capace quindi di opporsi efficacemente ai populismi di diverso segno e mantenere il Paese nella rotta corretta. I risultati delle primarie stanno a dimostrare che questa sinistra riformista esiste anche nell’elettorato, e dimostrano che la maggioranza dei militanti e dei simpatizzanti del PD apprezza l’opera di governo di Renzi e i suoi, anche se sfortunati, tentativi di riforme.
Cosa succederà adesso? Intanto, non sembra che ci siano timori per la stabilità del Governo Gentiloni. Nelle sue prime dichiarazioni dopo la vittoria, Renzi è stato molto esplicito in proposito e, a quanto pare, avrebbe detto a Eugenio Scalfari di non avere in programma elezioni prima della scadenza naturale della legislatura (perché dovrebbe? Oggi come oggi, senza una legge elettorale chiara, le elezioni sarebbero un salto nel buio). E nella sinistra? Sarebbe un’illusione credere che gli scissionisti del PD accettino i risultati elettorali e rientrino all’ovile, ma è lecito chiedere che chi nel PD è rimasto, ma su posizioni critiche rispetto a Renzi, accetti la prima regola della democrazia: chi vince governa.
Quanto a Renzi, se vuole, com’è ovvio e legittimo, tornare a Palazzo Chigi, deve tornarci per la via naturale, vincendo le elezioni politiche. Per riuscirci, ha davanti a sé compiti molteplici e difficili: deve sostenere e stimolare l’opera del leale e onesto Gentiloni, deve circondarsi di una squadra dirigente in parte rinnovata e adatta alla situazione, deve ricompattare il partito attraverso una direzione più collegiale e, soprattutto, deve rinforzare ed estendere le basi del consenso, recuperando, sì, una parte almeno dei delusi di sinistra ma anche attraendo quei voti moderati che diffidano ormai della destra e restano insensibili al richiamo delle sirene grilline.
Ma il compito politico principale è ora di arrivare, come lo chiedono il Capo dello Stato e la ragione, a una buona Legge elettorale, che permetta risultati chiari e non sia esposta a rilievi o correzioni da parte della Consulta. Facile a dirsi, molto meno a farsi. Il PD ha le chiavi in mano, e come prima cosa Renzi deve assicurarsi di portare tutti i suoi parlamentari a votare compatti. Non esistono leggi elettorali perfette e non bisogna farsi illusioni: qualsiasi forza politica si orienta a quel tipo di sistema che favorisca, non gli interessi astratti del Paese, ma quelli molto concreti della propria parte. È dunque ovvio che chi dovrà mettere mano alla legge lo farà tenendo conto della situazione del momento e delle prospettive che l’uno o l’altro sistema comporta. Ma si tratta di scelte fondamentali: una proporzionale, per quanto corretta, impone comunque un Governo di coalizione e qui sorgono problemi enormi. Un sistema uninominale a doppio turno non è privo di rischi ma, come si sta vedendo in Francia, è il solo che assicura chiarezza.
Insomma, il nodo è aggrovigliato. Speriamo che Matteo Renzi abbia la saggezza di scioglierlo nel modo più conveniente alla stabilità del Governo futuro e agli interessi del Paese.
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