La Francia ha scelto l’Europa
La scelta, nelle elezioni presidenziali di domenica scorsa in Francia, era chiara: da un lato il neo-nazionalismo, la chiusura al mondo, l’odio per l’Europa. Dall’altra l’apertura al mondo, la coscienza del ruolo centrale della Francia in Europa e del suo dovere di restarne il fulcro. E la Francia ha scelto, dando a Emmanuel Macron una maggioranza schiacciante. Si discuterà molto se tutti quelli che lo hanno votato lo ha fatto “per lui”, o “contro Marine Le Pen”. In ogni caso, il messaggio è chiaro: con Macron hanno vinto i valori che fanno grande e amata la Francia, quei valori repubblicani di libertà, eguaglianza, fraternità, dei quali il Fronte Nazionale è agli antipodi. E ha vinto, nettamente, senza margini di dubbio, l’Europa. L’Europa nella sua espressione migliore: non quella degli eurocrati di Bruxelles o degli egoismi nazionali, ma quella del progresso e degli ideali.
Mi sono riletto l’intervista che il neo-eletto Presidente francese aveva dato a La Repubblica prima ancora del primo turno vi voto. Le cose che ha detto sull’Europa sono meravigliose e giustissime. Non a torto dunque il suo trionfo ha diffuso sollievo nelle capitali dell’Unione. Peccato per Putin, che ha creduto di poter giocare con metodi sporchi contro il candidato dell’Europa e, per una volta, ha perso. Peccato per Donald Trump. Ad ambedue la destra populista e nazionalista guarda come ad alleati e modelli. Ma domenica scorsa, in Francia, Putin e Trump sono usciti sconfitti, è uscito sconfitto il ritorno alle barbarie del nazionalismo che, come diceva Francois Mitterrand, è sinonimo di guerra, è uscito sconfitto chi vorrebbe un’Europa divisa e debole, facile preda per gli sciacalli. Domenica, abbiamo visto la Francia migliore, la Francia della Ragione e dei Lumi. Quella che ha festeggiato nella splendida spianata del Louvre cantando, prima ancora della Marsigliese, l’Inno alla Gioia di Beethoven, cioè l’inno dell’Europa unita. Grazie, Francia, ci hai dato un soffio di speranza, un soffio di fiducia in un futuro europeo degno di tutto quello che siamo stati e vogliamo essere.
Naturalmente, la vittoria di Macron non risolve tutti i dubbi, i problemi, le inquietudini che percorrono la nostra Europa. La destra nazionalista è stata sconfitta in Olanda, in Francia, lo sarà, spero, in Germania, però ha vinto in Gran Bretagna e resta minacciosa in altri Paesi dell’Unione, tra cui ovviamente l’Italia. Col voto di domenica, i vari scellerati alla Salvini, Meloni e compagnia hanno avuto senza dubbio una lezione che li ridimensiona, ma sarebbe illusorio sperare che abbandonino la partita e abbiano perso la capacità di fare danni.
La vittoria di Macron impone ora a tutti i veri europeisti, decisi a sconfiggere la grettezza del nazionalismo esacerbato, un compito pressante; con una rinnovata guida francese, lavorare per trasformare l’Europa in quello che deve essere, un’unione di popoli liberi, solidali tra loro e capaci a gestire in comune, pur senza perdere le rispettive identità, le grandi sfide del Secolo: sviluppo economico, occupazione, immigrazione, sicurezza. Nell’intervista a La Repubblica, Macron ha detto parole chiare e dure su quei Paesi che, come l’Ungheria, si sottraggono alle regole comunitarie di solidarietà, e ha detto senza incertezze che l’Europa può andare avanti anche a velocità diverse. Non so perché, questo è un concetto considerato spesso un “tabù”, ma a torto: chi resiste ai passi avanti (come a suo tempo la Gran Bretagna, come oggi Polonia e Ungheria) non deve poter bloccare il cammino degli altri. Ci sono valori sui quali tutti i 27 possono ritrovarsi, altri in cui, se è necessario, possono ritrovarsi alcuni. È accaduto con Schengen e con l’euro. Potrà accadere per altri temi, come la sicurezza comune e l’immigrazione. Finiamola con l’alibi troppo comodo di chi preferisce un unanimismo riduttivo ai veri passi necessari per un’Europa forte.
Qual è, in questo scenario che si apre, il posto dell’Italia? Macron ha riconosciuto in più occasioni che l’asse franco-tedesco è necessario, ma non sufficiente. L’Europa ha bisogno anche dell’Italia, della Spagna e dei Paesi del Benelux. Matteo Renzi, tornato in modo autorevole alla guida del PD e quindi di nuovo in mano le chiavi principali, ha condotto nel suo periodo di governo una politica europea per molti versi innovativa e audace, ma è spesso restato solo, per la timidezza di Hollande e i problemi della Spagna, di fronte a un muro conservatore. Ora, chi siede a Palazzo Chigi ha a Parigi un alleato convinto e forte, le cui battaglie devono – e possono – essere anche le nostre, perché dal loro successo dipende il futuro dell’Europa al quale, ricordiamolo sempre, è legato il futuro dei nostri figli.
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