Caccia alle streghe?

Ormai non passa quasi giorno senza nuove rivelazioni e accuse contro Donald Trump. Nessun presidente USA è stato così ampiamente attaccato nei primi mesi del suo mandato, neppure quel Nixon di cui tutti sappiamo la fine. Il fatto è che Trump ha suscitato l’ostilità implacabile di almeno due settori importantissimi nella vita politica americana: la grande stampa e gli organismi di intelligence. Avere contro di sé due corazzate come il Washington Post e il New York Times è già grave, ma avere come nemici gi strati che contano nella CIA e nell’FBI è anche peggio.

Il tallone d’Achille di Trump era già da tempo noto e in queste colonne lo avevamo più volte segnalato e commentato: i rapporti con Putin. Non che di per sé sia condannabile e sbagliato cercare di stabilire con la Russia rapporti corretti e di dialogo. Anche le “rivelazioni” di Trump al Ministro degli Esteri russo Lavrov di segreti relativi al terrorismo può rientrare in questa categoria, anche se per ipotesi il Presidente avesse così compromesso le fonti delle informazioni di cui disponeva. Tutto questo può far parte di una scelta di politica estera, indigesta a molti nell’establishment politico-militare di Washington, ma rientrante nei poteri del Presidente e della quale renderà eventualmente conto in sede politica.  Ma tutt’altra cosa è sapere se questa scelta non corrisponda a ragioni molto meno confessabili.

Lasciamo anche stare le voci secondo cui i servizi segreti russi avrebbero in mano immagini di Trump in un hotel di Mosca che lo comprometterebbero gravemente. Queste voci sono nate mesi fa ma nessuna ha mai potuto confermarle (non saranno certo i russi a farlo). Lasciamo anche da parte il sostegno russo a Trump, credo più che provato, durante la campagna elettorale attraverso le reti sociali (ammettiamo che Trump non ne sapesse nulla e che ciò non costituisca titolo di gratitudine sufficiente verso Mosca).  Ma sta di fatto che i rapporti tra i membri dello staff di Trump, durante la campagna e prima dell’insediamento, con i russi, e il passaggio di somme di denaro, sono stati sufficientemente provati (si parla di almeno 18 incontri) e sono già costati al Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Flynn, le dimissioni. Ora è venuto fuori, dalla registrazione di una conversazione tra esponenti repubblicani, datante addirittura al 15 giugno scorso, che uno di essi aveva parlato apertamente del fatto che Putin “pagava Trump”. Non penso che ciò costituisca una prova reale a carico del Presidente. Si tratta di voci, per di più smentite dal senatore repubblicano interessato, che ha parlato di “un tentativo di scherzo andato a male”, ma certo lasciano un segno nella pubblica opinione.

Però, ritengo che l’aspetto più serio di tutto questo non sia in fin dei conti la sostanza delle accuse mosse a Trump, quanto il fatto che egli abbia tentato di affossare l’inchiesta che su di esse stava conducendo l’FBI, giungendo sino a licenziarne il capo, Comey. A questo si aggiunga l’opposizione di Flynn ad obbedire a un’ingiunzione del Senato di comparire per riferire sulla vicenda dei suoi rapporti con l’Ambasciata russa. Tutto questo può facilmente trasformarsi in “ostruzione della giustizia” da parte dell’Amministrazione, crimine tra i più gravi secondo le leggi e il costume USA. E la faccenda ormai non può finire nel nulla, giacché il Ministero della Giustizia è stato obbligato a nominare un Procuratore Speciale per indagare sul caso, nella persona dell’ex-Capo dell’FBI, Mueller. Ricordiamo che fu l’accanimento di Kenneth Star, Procuratore Speciale nel caso Clinton-Lewinsky, a portare il Presidente democratico a un passo dall’impeachment. Non so se Mueller sia della stessa pasta, ma gli sarà difficile non far nulla. E sicuramente assisteremo nei prossimi giorni e mesi a nuove rivelazioni, a nuove battaglie di ostruzione legale, a nuove campagne del New York Times e del Washington Post, e a nuove “gole profonde”.

Fino ad ora, la maggiore difesa di Trump è stata di accusare stampa e politici dell’opposizione di condurre una “caccia alle streghe”. Che ci sia contro di lui accanimento, non c’è dubbio. Ma l’ha provocato lui stesso con la sua arroganza e con i suoi programmi.

Questo vuol dire che si prospetta per Trump un impeachment? Siamo lontani da questo. Tra i motivi di destituzione c’è l’ostruzione alla giustizia, ma i fatti devono essere provati oltre ogni dubbio e c’è  l’aspetto politico. La procedura di impeachment richiede una iniziativa della Camera dei Deputati a maggioranza semplice e passa poi al Senato dove la maggioranza richiesta è di due terzi. In ambedue le Camere i repubblicani hanno la maggioranza e anche se alcuni di essi hanno dubbi e riserve su Trump, difficilmente voterebbero una misura che danneggerebbe gravemente il loro Partito. Dopotutto, nella storia americana, nessun Presidente è stato mai destituito per “impeachment”. Nixon lo evitò dimettendosi, Clinton si salvò per una manciata di voti nel Senato.

C’è un’altra possibilità: è previsto che, se il Vicepresidente e una maggioranza dei membri del Governo ritengono il Presidente incapace o inadatto a svolgere le sue funzioni, il Vicepresidente ne assume le funzioni, Il Congresso però resta il giudice finale. Insomma, la questione sta nella percezione di una gran parte dei repubblicani. Essi potrebbero essere indotti ad agire solo se giungessero a pensare che il Presidente è divenuto un peso e un danno per il partito e lo abbandonino al suo destino. Questo accadde al tempo di Nixon e persuase questi ad andarsene. Ma, ripeto, siamo lontani da questo scenario.

Resta il fatto che la presidenza Trump è nata male ed è destinata ad andare anche peggio.

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