Il papà di Giovanna (Film, 2008)
Pupi Avati torna in Italia, alla sua Bologna, ai ricordi del tempo passato, in epoca fascista, ambientando una storia toccante di amor paterno e dramma filiale che comincia nel 1938 e termina nei primi anni Cinquanta.
Il papà di Giovanna narra le tristi vicende di una figlia complessata (Rohrwacher), figlia di un professore di storia dell’arte iperprotettivo (Orlando) e di una madre assente (Neri). Giovanna si prende una cotta adolescenziale per un affascinante compagno di scuola che si approfitta di lei per compiacere il padre ed essere ammesso all’esame, mentre fa il galletto con Marcella (Bilello), la sua migliore amica. Giovanna va in crisi, la sua psiche immatura e già provata dalle delusioni della vita non regge, quindi uccide la rivale a colpi di coltello mentre amoreggia con il suo ragazzo, nello stanzino della palestra. Marcella è figlia di una facoltosa famiglia fascista che chiede una punizione esemplare per la giovane assassina. Un abile avvocato riesce a far passare la tesi dell’infermità mentale e fa internare Giovanna nel manicomio criminale di Reggio Emilia. Rimedio peggiore del male, perché in mezzo ai pazzi e in una struttura diretta in modo autoritario e punitivo, Giovanna peggiora il suo precario stato di salute. Il padre perde tutto, anche il posto di lavoro al liceo Galvani, se non fosse per l’aiuto del vicino di casa (Greggio) – militare fascista dell’Ovra – non saprebbe come mantenere la famiglia. La madre reagisce disinteressandosi della figlia, non vuole più vederla, si vergogna di lei, fino al giorno in cui il padre non la lascia libera di andarsene con il vicino, che lei ha sempre segretamente amato. Il padre finisce per vivere accanto alla figlia, in un casolare della campagna emiliana, accontentandosi di vederla nelle ore concesse dal manicomio, attraverso una rete metallica.
Pupi Avati racconta la piccola storia quotidiana alternando brevi flash sulla grande storia italiana che di tanto in tanto irrompe sulla scena. Scorrono sul grande schermo, quasi inavvertitamente, sequenza dopo sequenza, la morte di Gabriele D’Annunzio, il patto d’acciaio, le leggi razziali, la seconda guerra mondiale, il Gran Consiglio del Fascismo, i bombardamenti, le fucilazioni partigiane, la liberazione, gli anni Cinquanta con il boom della televisione dopo il grande amore per il cinema. Struggente il finale, la figlia esce dal manicomio nell’estate del 1946, torna a vivere a Bologna, dove nessuno può perdonarle il male fatto, soprattutto la madre dell’amica. Lieto fine inatteso, nella sala di un cinema, con l’incontro tra madre e figlia, il successivo ritorno a casa della madre e il tentativo di provare a ricostruire la famiglia. “Se il film non ti piace puoi venire con noi”, mormora Giovanna. Non sarebbe stato facile, era passato troppo tempo senza vederci – aggiunge la voce fuori campo della figlia – ma mio padre diceva che ce l’avremmo fatta.
Il papà di Giovanna è uno dei migliori film di Avati degli ultimi vent’anni, sostenuto dalla recitazione perfetta di due attori come Silvio Orlando (Coppa Volpi a Venezia) e Francesca Neri, da un’interpretazione senza sbavature della debuttante Alba Rohrwacher e da un Ezio Greggio negli insoliti panni di attore drammatico. Avati si dimostra ancora una volta grande direttore di attori, dopo Abatantuono e Boldi, prova a lanciare Greggio in una parte del tutto diversa dal repertorio comico – demenziale. Silvio Orlando è un padre dimesso, in crisi con la moglie che non l’ha mai amato, innamorato della figlia al punto di vivere per lei, in totale simbiosi, persino illudendola per farla apparire bella e ricercata. Avati ricostruisce l’Italia fascista alla perfezione, per merito di scenografia e costumi riprodotti nei minimi particolari e di una colonna sonora a base di pezzi d’epoca che Riz Ortolani dosa a dovere in un sottofondo musicale dal tono triste e dolente. Fotografia del bravo Pasquale Rachini, che comincia in bianco e nero per dissolversi in un colore che varia dal giallo ocra al verde pastello, anticata e in sintonia con il periodo storico.
Ben ricostruiti sia il processo fascista che la struttura manicomiale, grazie ad accorte consulenze, così come sono credibili le ossessioni nervose della figlia e le sue fissazioni paranoiche. Tecnica di regia perfetta, tra dissolvenze, carrelli panoramici su Bologna e campagna emiliana, accompagnati da poetici piani sequenza. Parti teatrali recitate in interni dirette con autorevolezza, con un uso maturo dei campi e controcampi. Avati indaga ancora una volta il rapporto padre-figlia, portandolo alle estreme conseguenze, in una situazione di totale anormalità, dopo un orrendo delitto. Buona anche l’analisi del rapporto di coppia, efficace l’inserimento del personaggio di un amico (Greggio) innamorato in segreto della moglie.
Il regista racconta una storia drammatica, intensa e struggente, che coinvolge una famiglia portandola alla distruzione, contemporaneamente narra la disfatta italiana e gli orrori del fascismo, senza dimenticare gli eccidi partigiani. Si finisce con un messaggio di speranza, insito nel tentativo di ricostruire, sia la famiglia distrutta che una povera Italia bombardata.
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Soggetto e Sceneggiatura: Pupi Avati. Fotografia: Pasquale Rachini. Montaggio: Amedeo Salfa. Musiche (composte e dirette): Riz Ortolani. Suono: Piero Parisi. Scenografia: Giuliano Pannuti. Costumi: Mario Carlini, Francesco Crivellini. Effetti Visivi: Justeleven. Direttori di Produzione: Gianfranco Musiu, Tomaso Pessina. Coordinamento Finanziario: Diego Raiteri, Marketing Finanziario. Aiuti Regista: Roberto Farina, Alvise Barbaro. Assistente alla Regia. Gianmaria Pelli. Operatore alla Macchina: Francesco Damiani. Fotografo di scena: Antony Gerald Stringer. Produttori: Antonio Avati, Medusa Film. Case di Produzione: Duea Film, Medusa Film, Ski Cinema. Distribuzione: Medusa. Negativi: Fuji Film. Laboratorio Sviluppo e Stampa: Cinecittà Studios. Macchine da Presa: Technovision. Sonorizzazione: Fono Roma Film Recording. Mixage: Franco Coratella. Teatri di Posa: Cinecittà Studios. Consulenza Psichiatrica: Prof. Ferruccio Giacanelli, Dott. Stefano Santuari, Dott. Alberto Spadoni. Consulenza Legale: Avv. Pino Pisauro. Edizioni Musicali: CTC Creative Team Company srl. Musiche: Ma l’amore no (Galdieri – D’Anzi), Ma le gambe (Bracchi – D’Anzi), Non dimenticar le mie parole (Bracchi – D’Anzi), Silenzioso slow (Bracchi – D’Anzi), Viale d’autunno (D’Anzi). Interpreti: Silvio Orlando, Francesca Neri, Ezio Greggio, Alba Rohrwacher, Manuela Morabito, Serena Grandi, Gianfranco Jannuzzo, Paolo Graziosi, Valeria Bilello, Sandro Dori, Rita Carlini, Edoardo Romano, Chiara Sani, Antonio Pisu, Lorena Miller, Dalia Lahav, Gennaro Diana, Gaia Zoppi, Ada Perotti, Eleonora Vallone, Gisella Marengo, Paolo Fiorino.
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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]