NATO, quanto costa ai singoli Paesi

Donald Trump è stato eletto  Presidente degli Stati Uniti con la più grande campagna populista che la storia ricordi, sull’onda di promesse di faraoniche spese militari, di contributi alle aziende perché non delocalizzino, di forti tagli alle tasse, a fronte dell’abbattimento dell’Obamacare sul fronte delle minori spese, e del ritiro dai protocolli di Parigi unito all’attribuzione di contributi in conto NATO ai paesi Europei.

Ma dagli annunci bisogna poi passare ai fatti, certo che Wall Street brilla come non mai a vedere un governo di lobbisti e magnati del petrolio guidare la prima potenza mondiale, ma resta il fatto che il solo taglio dell’Obamacare, i cui costi in realtà sono in larghissima parte a carico degli assistiti, non compensa che in minima parte le spese militari già messe in cantiere ed il taglio alle tasse. Anche il ritiro dai protocolli di Parigi, al di là dei disastri ambientali che produrrà, dispiegherà i suoi perversi effetti economici solo tra anni, nell’immediato a The Donald rimane solo di riuscire a far aumentare i contributi europei che alimentano i costi della NATO.

I paesi europei già possono avere una sensibilità ridotta al fattore NATO, alleanza nata per contrastare un Patto di Varsavia che non esiste più e rende quindi meno giustificato un apparato militare di tale portanza, soprattutto quando la minaccia principale viene dai cani sciolti dell’Isis. L’obiettivo è di portare ogni paese europeo a contribuire ai costi di mantenimento dell’alleanza al 2% sul pil (al momento, oltre gli USA, solo Grecia, Polonia, Estonia e Regno Unito superano questo target). Il Regno Unito ne uscirà via brexit, i rimanenti tre arrivano a questo percentile avendo particolari situazioni geografiche di pericolo come i baltici, o di latente conflitto con la Turchia nel caso ellenico.

Il ministro degli esteri tedesco, il cui Paese versa solo l’1,2% del pil, ha risposto sprezzantemente alla richiesta del segretario di stato Rex Tillerson, respingendo la richiesta che obbligherebbe il governo Merkel a portare da 35 a 70 miliardi di euro il contributo Nato. Curioso il caso Italia, con un debito pubblico da default, con tagli alla spesa sociale sempre maggiori, ha aumentato i versamenti del 11,6% dal 2015 ad oggi a fronte di un incremento medio europeo del 2,6%; insomma nei governi PD si tagliano le pensioni, ma si investe in armamenti, concetto sbrigativo, ma efficace.

Sbrigativo è un termine che ben si adatta al tycoon ora Presidente degli Stati Uniti, dopo il summit NATO dello scorso 25 maggio, ad una domanda precisa della cronista di AP sul risultato del colloquio con il nostro premier Gentiloni, ha dichiarato “Vede, ieri con il primo ministro italiano stavamo scherzando: Forza, devi pagare, devi pagare. Pagherà”.  Per onestà intellettuale è doveroso ricordare che la richiesta di un obiettivo del 2% sul pil era stata avanzata dalla presidenza Obama, ed il segretario dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, ha ribadito che quanto chiesto da Trump non rispecchia altro che i precedenti accordi. Resta in sospeso la richiesta di sterilizzazione che il Ministro degli Esteri Alfano ha posto alla UE in merito all’incidenza dei contributi NATO rispecchio al patto di stabilità, particolare non da poco conto visto che parliamo di una ventina di miliardi di euro.

Un risultato di questa diatriba potrebbe sfociare in una diversa politica di difesa, maggiormente autonoma e slegata dal salvagente americano. In tale senso si muove la diplomazia europea già da tempo con iniziative in tal senso da parte del Presidente Juncker e di Mrs. Pesc Mogherini, indicativa è anche la dichiarazione di Angela Merkel dopo il fallimento del recente G7 di Taormina, con le sue parole riguardo il fatto che gli europei dovranno cominciare a pensare di fare da soli.

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