Se son Margherite, fioriranno
Negli anni ho riscontrato, o meglio, ho visto ripetersi una serie di specifici eventi in occasione di elezioni e congressi di partito. Statue di Madonne che piangono, tessere che si centuplicano e, immancabilmente, minacce di scissione. E’ ben visibile a tutti che da qualche mese, il panorama politico italiano è organicamente pervaso di questi elementi, almeno da un punto di vista mediatico. Tant’è vero che ai miracoli si può sempre liberamente credere e le tessere, false o presunte tali, storicamente non hanno mai inciso molto sui risultati e soprattutto sull’orientamento delle volontà della base.
In merito alle scissioni bisogna fare un discorso a parte. Innanzitutto perché ultimamente la minaccia di andarsene, vuoi dal partito o dal governo, ha assunto un valore molto maggiore essendo tutti gli schieramenti, governo incluso, precari sulla conta dei consensi. Inoltre dobbiamo prendere atto che, mai come in quest’ultimi due anni, abbondanti, c’è stata una proliferazione di movimenti, partiti, coalizioni che hanno cercato uno spazio di rappresentanza. Chiaramente molti di questi non sono stati altro che il risultato di una scissione. Altri, invece, hanno potuto vedere la luce perché sono stati gli elettori stessi che li hanno premiati, lasciando a propria volta la casa politica nella quale avevano dimorato, in alcuni casi, per decenni.
L’ultima novità in merito è stato lo sfogo di Giuseppe Fioroni che, per rispondere al Segretario Pd Epifani, ha congelato lo scioglimento della Margherita a fronte della possibilità che i Dem organizzino a Roma il congresso del PSE. Il tempismo è stato pressoché perfetto, considerato il momento del Pd e sopratutto quello di Fioroni, forse ancor più delicato. Infatti l’ex ministro dell’Istruzione non gode di ottima salute politica. Da politico di peso, in termini di voti reali sul territorio, è lentamente asceso al ruolo di dirigente di partito povero di seguaci. Lo slancio pro Renzi di Franceschini e il tacito consenso di Letta ne sono una dimostrazione esplicita. Si tratterebbe dunque di una ricerca di visibilità per affermarsi di nuovo. Invero non è da sottovalutare, tutt’altro, il merito della questione sollevata. Al di là del pretesto contestuale, l’adesione del Partito Democratico ad una famiglia europea è cosa seria. Non può rappresentare un mero strumento dialettico ne essere il paravento di inciuci interni. La aspirazioni, i desideri, i programmi e i processi che debbono animare un’organizzazione politica, oggi, non possono più permettersi arroccamenti isolazionisti e territoriali, senza avere un più ampio respiro europeo. Discorso che vale tanto per i progressisti che per i conservatori. Non sarebbe male, anzi, che proprio con l’occasione del congresso, il Pd desse delle risposte nel merito che superino la retorica propagandistica ed intervengano sui temi fondanti dell’appartenenza, della riconoscibilità e della rappresentanza. In Italia come in Europa.
Per un volta, è il caso di dirlo, a sinistra arrivano dopo chi, tra i moderati italiani che si riconoscono nel Partito Popolare Europeo, ha già preso il largo in questa direzione.
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