EU Emergency Trust Fund for Africa

Le migrazioni continuano ad essere un tema centrale nelle politiche europee, gli accordi di Dublino sviluppati quando il problema era antecedente l’ondata che stiamo vivendo in questi ultimi anni, si sono dimostrati insufficienti, e nuove vie si stanno percorrendo per fronteggiare l’emergenza. L’ultimo progetto messo in cantiere dalla UE è il Gruppo di Contatto per la Rotta del Mediterraneo Centrale, formato dai ministri degli esteri della UE assieme a quelli di paesi africani come la Tunisia e la Libia.

Le semplici missioni di salvataggio in mare evitano stragi, ma non risolvono i motivi che stanno alla base delle ondate migratorie, occorre abbattere le organizzazioni criminali che speculano sui migranti e modificare le procedure burocratiche di assistenza. I rimpatri di cui tanto si parla, a parte i costi esorbitanti, si basano necessariamente sul riconoscimento del richiedente asilo, a qualunque titolo, che sulla stipula di accordi con le nazioni di provenienza; in assenza di questi due elementi risulta oggettivamente impossibile.

Ma rimandare un migrante in un paese privo di lavoro e sostentamento, se non al centro di una guerra, può essere una soluzione definitiva o solo procrastinare il problema? Proprio in questo senso va la creazione dello “EU Emergency Trust Fund for Africa”, strumento complementare alla politica UE di cooperazione, dal cui 11° Fondo Europeo per lo Sviluppo provengono i 2,4 miliardi di euro che sono la dotazione iniziale del EU Trust Fund. Proprio questo ha dettato alcune perplessità, essendo la dotazione proveniente in gran parte da stanziamenti già fatti, ma l’opinione pubblica è istintivamente contrario ad ulteriori spese in favore della migrazione. Il Fondo si rivolge ai Paesi ACP (il Sahel e la regione del Lago Ciad, il Corno d’Africa e l’Africa Settentrionale), il 57% delle risorse verso il Sahel e la regione del Lago Ciad, mentre il 39% è dedicato al Corno d’Africa. Solo il 4% dei fondi è invece utilizzato in Africa Settentrionale. Al momento, i principali beneficiari sono Senegal (161 milioni di euro) e Mali (151 milioni di euro), seguiti da Niger (140 milioni) ed Etiopia (120 milioni).

Fra i requisiti per usufruire del Fondo resta lo scoglio dei diritti umani, che in un paese instabile come la Libia, ad esempio, non è particolare trascurabile. Come sopra anticipato, il finanziamento del Fondo appare una ulteriore criticità, la gran parte viene da stanziamenti già in atto, l’Italia si è impegnata per 10 milioni di euro; l’Olanda è il maggiore contributore con 15 milioni; Lituania, Lettonia e Slovenia appena 50.000 euro, Grecia, Cipro e Croazia fermi a quota 0.

La Commissione Europea ha affidato nel 2015 proprio all’Italia la delega per il primo progetto a firma EU Trust Fund, con la firma congiunta del Commissario Europeo per la Cooperazione Internazionale e lo Sviluppo, Neven Mimica, e del Direttore Generale della Cooperazione allo Sviluppo del MAECI , Giampaolo Cantini. Il SINCE-“Stemming irregular migration in Northern and Central Ethiopia” ha avuto una dotazione di 20 milioni di euro ed il focus è lo sviluppo socio economico ed occupazionale in quattro zone dell’Etiopia a forte emigrazione. I processi interesseranno giovani e donne con la tenuta di corsi di formazione professionale e la creazione di micro e piccole imprese a guida tipicamente femminile, prevedendo l’erogazione di micro-crediti. La volontà è di creare le condizioni ambientali atte a disincentivare l’emigrazione e nel contempo a favorire il rientro di chi ha già lasciato il paese.

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