Cronache dai Palazzi

Meno lavoro e soprattutto più giovani disoccupati. Per di più, secondo gli ultimi dati Istat, si è più precari da laureati. In pratica è più facile trovare un posto fisso avendo conseguito solo il titolo di scuola media. Oggi i laureati incontrano infatti maggiori difficoltà nel trovare lavoro e, per molti di loro (circa un terzo), il primo impiego (e forse anche il secondo e il terzo) è precario. Per chi si è fermato alla scuola dell’obbligo, invece, il primo impiego è precario solo per uno su cinque.

I crudi dati dell’Istat, illustrati nel corso di un’audizione in commissione Affari costituzionali alla Camera dal presidente dell’Istituto, Giorgio Alleva, dimostrano quindi uno stato del lavoro “atipico” rispetto a qualche decennio fa, quando un titolo di studio più elevato rappresentava magari una maggiore sicurezza nel trovare un impiego stabile e di un certo rilievo. “L’occupazione atipica al primo lavoro – ha spiegato Alleva – cresce all’aumentare del titolo di studio, essendo pari al 21,2% per chi ha concluso la scuola dell’obbligo e al 35,4% per chi ha conseguito un titolo di studio universitario”.

Dopo l’impennata registrata nel mese di aprile il tasso di disoccupazione torna quindi a risalire (11,3%) arrivando a toccare quota 37% nella fascia degli under 25. Sarebbero infatti i giovanissimi, in particolare tra i 15 e i 34 anni, ad essere costretti ad accettare contratti di lavoro “atipici”, al punto che “circa 1 occupato su 4 svolge un lavoro a termine o una collaborazione”. Una situazione che la crisi economica ha di fatto acuito ma che, in verità, persisteva già da tempo: “La quota di lavoratori temporanei – spiega l’Istat – già in partenza più consistente fra i giovani, aumenta dal 1997” ed esplode “tra il 2008 e il 2016, nella classe 15-34 anni”, quando “la quota di dipendenti a termine e collaboratori aumenta di 5,6 punti, dal 22,2% al 27,8%”. Dopo diversi anni di precariato la situazione sembra diventare più stabile tra i 35 e i 49, fascia di età in cui nel 2016 solo l’8,9% del totale è stato interessato da un lavoro precario.

Un dato che fotografa la società in cui siamo immersi è inoltre quello relativo alle donne-mamme: “Tra le donne il 41,5% delle occupate con lavoro atipico è madre”. Molto probabilmente se ci fossero a disposizione più asili nido e servizi a misura di bambino e di famiglia questo dato subirebbe una drastica riduzione.

L’ingiustizia sociale legata al precariato trascina infine con sé un altro problema non meno gravoso, quello delle pensioni per i più giovani, che con una situazione lavorativa così precaria al momento del pensionamento si ritroveranno in mano pensioni ridotte al minimo. Gli anziani bloccati al loro posto, inoltre, non permettono ai più giovani di entrare in maniera stabile nel mondo del lavoro, quindi è un cane che si morde la coda.

In commissione Affari costituzionali il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, ha affermato che nell’arco di due anni l’età pensionabile dovrebbe aumentare di altri due anni: “dai 66 anni e 7 mesi , in vigore per tutte le categorie di lavoratori dal 2018, a 67 anni a partire dal 2019”. Il requisito dovrebbe subire un adeguamento alla speranza di vita ogni due anni per cui nel 2021 si arriverebbe a 67 anni e 3 mesi. “Per i successivi aggiornamenti, a partire dal 2023 – ha spiegato Alleva, – si prevede un incremento di due mesi ogni volta. Con la conseguenza che l’età pensionabile salirebbe a 68 anni e 1 mese dal 2031, a 68 anni e 11 mesi dal 2041 e a 69 anni e 9 mesi dal 2051”.

Il progressivo aumento dell’età pensionabile illustrato dal presidente dell’Istituto nazionale di statistica incontra ovviamente la protesta dei sindacati che chiedono al governo di bloccare il meccanismo di adeguamento. Il prossimo scatto, quello a 67 anni, dovrebbe essere approvato a seguito di un decreto interministeriale (Lavoro, Economia) da emanarsi entro il 2017 (in pratica 12 mesi prima che esso entri in vigore, il primo gennaio 2019). Circa quindici giorni fa il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, aveva comunque dichiarato che non vi era in ballo “alcun provvedimento di nessun tipo sull’aumento dell’età pensionabile”, ma è evidente che la discussione non finisce qui. Ministero e parti sociali dovranno riaffrontare la questione già martedì prossimo nel corso di un incontro dedicato alle pensioni. Ad esempio si potrebbe prevedere un adeguamento triennale invece che biennale ma comunque l’aggiustamento all’età pensionabile richiederebbe una modifica legislativa, nello specifico al decreto Salva Italia del 2011, oltreché una copertura finanziaria in quanto aumenterebbe il numero di coloro che vanno in pensione.

Nel corso del suo intervento in commissione – in occasione di un’audizione per valutare le proposte di legge sul diritto costituzionale di Andrea Mazziotti (Civici e Innovatori) e di Ernesto Preziosi (Pd) sull’equità intergenerazionale dei trattamenti previdenziali – Alleva ha inoltre ricordato che “nella futura dinamica demografica del Paese un contributo determinante sarà quello dei flussi migratori”. Secondo l’Istat da oggi fino al 2065 dovrebbe immigrare in Italia “14,4 milioni di individui” mentre “gli emigranti verso l’estero sono stimati in 6,7 milioni”. Nonostante tutto nel 2065 i residenti non dovrebbero superare i 53,7 milioni, “conseguendo una perdita complessiva di 7 milioni rispetto al 2016” a causa del calo delle nascite.

Secondo il governo la ripresa comunque c’è e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha dichiarato che “il peggio è alle spalle”. La squadra dell’esecutivo “sta togliendo impedimenti alla crescita come i problemi del sistema bancario”. In definitiva, l’Istituto nazionale di statistica nella nota mensile sull’economia conferma l’aspettativa di ripresa del Pil anche se a rilento. In pratica nonostante i segnali di “rallentamento” per i prossimi mesi resta un “orientamento positivo”, anche in virtù della spinta favorita dai consumi in crescita. La propensione al risparmio delle famiglie italiane, ossia della quota di reddito messa da parte, confermerebbe infine che “si sta voltando pagina”.

Sul fronte europeo il vertice informale dei ministri dell’Interno dell’Unione europea che si è svolto a Tallinn in Estonia ha lanciato invece delle proposte a proposito di gestione dei migranti, dagli aiuti economici alla Libia, al codice di regolamentazione per le Ong occupate nel soccorso in mare, all’implementazione della politica  dei rimpatri concedendo pacchetti di visti ai Paesi che si riprendono gli immigrati irregolari. La questione centrale dei porti, con la “regionalizzazione” degli sbarchi verso altri partner mediterranei, “non era all’ordine del giorno”, ha sottolineato il ministro dell’Interno italiano, Marco Minniti. “Rimangono posizioni distanti – ha spiegato Minniti -, se ne discuterà l’11 luglio a Varsavia in sede Frontex”. Nel documento che riporta le linee guida emerse a Tallinn emerge, quindi, l’espressione “si è preso nota” della richiesta italiana di ridiscutere i termini operativi della missione Triton dell’agenzia Frontex.

Minniti ha chiarito che l’Italia non può essere lasciata sola. “Non lasciate che il ministro dell’Interno italiano rimanga da solo – ha ammonito Minniti  -perché, se l’Italia viene lasciata sola, potrebbe essere costretta a procedere da sola”. Esercitando “fermezza, prudenza e pazienza” l’Italia ha in pratica raggiunto i primi risultati: tutti i Paesi Ue si sono trovati d’accordo nell’affidare alla Guardia costiera italiana il compito di stilare il codice di comportamento per le navi e gli equipaggi delle Organizzazioni non governative che, molto spesso, portano la bandiera di Francia, Germania e Olanda.

“In questa partita non c’è una singola mossa risolutiva”, ha sottolineato Minniti, e l’Italia chiede all’Europa di intervenire su più fronti. Un punto sul quale l’Unione europea dovrà insistere, ha ribadito inoltre il commissario Ue per le migrazioni, Dimitri Avramopoulos, è il rimpatrio dei tanti migranti (economici) irregolari che non hanno i requisiti per rimanere.

Dall’inizio dell’anno ad oggi sono sbarcati sulle coste italiane ben 85.150 migranti, il 14,42% in più rispetto allo stesso periodo del 2016 (74.422). Tra questi i minori stranieri non accompagnati sono circa 10 mila (9.761) e secondo i dati elaborati dal Viminale i porti maggiormente colpiti dagli arrivi sono stati Augusta (13.221) e Catania (10.254). Sarebbero invece circa 360 mila i migranti arrivati dall’Africa sulle coste europee (per lo più italiane) lo scorso anno.

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