Colombia, una Pace ancora da costruire
La settimana scorsa il governo colombiano e i Farc, portando a termine il disarmo della guerriglia marxista, hanno raggiunto una tappa importante dell’accordo di Pace siglato alla fine del 2016. Ma per raggiungere la vera pace, rimangono ancora numerosi ostacoli da superare.
“La pacificazione avrà bisogno di tempo, ci siamo dati quindici anni per raggiungere tutti gli obiettivi prefissati”. E’ attraverso l’ammissione dello stesso Presidente colombiano Juan Manuel Santos che si percepisce quanto gli effetti del processo di Pace con le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), che dovrebbe far voltar pagina ad un conflitto molto violento che dura da almeno cinquant’anni, non vedranno la luce in un futuro prossimo. Con il termine del disarmo della guerriglia marxista, avvenuto lo scorso 27 Giugno, lo storico accordo siglato alla fine del 2016 è entrato in una fase cruciale. Sono in effetti numerosi gli ostacoli che si innalzano sul cammino della Pace. Ostacoli e nemici, che vedono in questi accordi una minaccia contro i loro interessi politici o finanziari.
Mentre i Farc vogliono ormai portare avanti la loro lotta all’interno dell’arena politica, l’altra guerriglia colombiana, l’Esercito di Liberazione Nazionale (Ejército de Liberacion Nacional, ELN), nato anch’esso nel 1964 da una rivolta contadina, non ha ancora deposto le armi. Ispirato dalla rivoluzione cubana, questo gruppo di 1500-2000 combattenti che ha fatto del racket, degli attacchi contro le infrastrutture e dei rapimenti le sue principali fonti di guadagno, ha annunciato solo la settimana scorsa aver iniziato a discutere il cessate il fuoco bilaterale con il potere colombiano. Se questo primo risultato può essere raggiunto abbastanza rapidamente, in vista della visita in Colombia di Papa Francesco, all’inizio di Settembre, rimane il fatto che, per gli esperti della regione, arrivare ad un accordo di Pace simile a quello firmato con i Farc prenderà molto più tempo. Da una parte perché gli “eleno” cercheranno di imporre le stesse condizioni dei Farc, e dall’altra, per via della struttura orizzontale del gruppo, che rischia di moltiplicare le dissidenze e le rivendicazioni.
Per assicurare una Pace effettiva e durevole, lo Stato colombiano è cosciente del fatto che non basta firmare accordi di Pace con i vari guerriglieri. Per Bogotà è vitale, in questo periodo di transizione, di facilitare il ritorno alla vita normale dei combattenti congedati che si sono esposti in prima persona deponendo le armi. Una condizione scritta nell’accordo di Pace, che vuole evitare che gli ex guerriglieri intraprendano attività illegali, si rivolgano al narcotraffico o che siano reclutati come sicari. Oltre a promettere loro una partecipazione alla pari nella vita politica del Paese (a loro sono stati riservati mandati di senatori e deputati), Bogotà deve affrontare lo spinoso dossier della ripartizione delle terre e della riforma agraria, cuore del conflitto in Colombia, che ha ucciso più di 220.000 persone in 52 anni. Per gli esperti, fino a che lo Stato colombiano non avrà imposto una presenza istituzionale, militare e sociale nelle zone arretrate, dimenticate da decenni dal potere, i componenti che hanno portato il Paese alla violenza continueranno ad esistere e saranno una vera minaccia per tutto il processo. “Dovremo aiutare a raggiungere lo sviluppo le zone del Paese maggiormente colpite dal conflitto lottando contemporaneamente contro le bande criminali che cercano di recuperare a loro vantaggio il traffico di stupefacenti nelle zone abbandonate dai Farc, o che vogliono mantenere il controllo sulle attività illegali”, ha sottolineato il Presidente Santos in un’intervista concessa a France24. Una grande scommessa per il Presidente che deve far fronte a numerose resistenze e ad un’opposizione tenace, a un anno dalle presidenziali colombiane, da parte di certi attori politici.
Tra i fautori di una linea dura nei confronti dei guerriglieri di estrema destra, l’ex Presidente colombiano, oggi senatore, Alvaro Uribe. Ancora molto influente nel Paese, quest’ultimo ritiene che i negoziati di Pace con i Farc, che ha combattuto con accanimento quando era al potere, sono sinonimo di sconfitta nei confronti del “terrorismo” e un insulto alle vittime delle violenze. Per l’esperto di America Latina e redattore capo di Monde diplomatique Maurice Lemoine, “Uribe è una delle minacce più gravi che pesano sul processo di Pace”, soprattutto per via della giurisdizione speciale di pace, prevista negli accordi con i Farc, che permette di giudicare gli attori del conflitto, guerriglieri, militari o civili sospettati per crimini e delitti. “Se tutti cominciano a parlare, Uribe rischia di trovarsi nel cuore del dibattito, non ha dunque nessun interesse a che cominci il cammino di transizione della giustizia”, puntualizza Lemoine. Regolarmente accusato di essere legato ai paramilitari e di difendere gli interessi dei grandi proprietari terrieri (i latifondisti sono parte in causa fondamentale di tutto il conflitto), Alvaro Uribe è già colpito da 200 denuncie, depositate davanti alla Commissione di accusa del Parlamento – unica istanza abilitata a giudicare un ex Presidente.
Al di là degli ostacoli politici, la violenza la fa paradossalmente ancora da padrona in Colombia, malgrado la volontà di molti attori del conflitto di rientrare nei ranghi. Per questo il fenomeno dei Bacrim (per bande criminali), è considerato l’altra grande minaccia per la Pace. Si tratta di ex paramilitari o guerriglieri, legati all’economia della droga (secondo i dati delle Nazioni Unite, le bande criminali gestiscono il 70% della cocaina prodotta in Colombia, primo produttore di questa droga) che fanno regnare il terrore in alcune zone rurali. Il più importante è il Clan del Golfo, movimento composto da 1500 uomini provenienti dalle milizie di estrema destra, ufficialmente congedati nel 2006. Per l’ONU, nel 2016, più di un centinaio di militanti sociali sono stati assassinati, la maggioranza nei territori storicamente presidiati dai Farc. “Siamo preoccupati per la morte di centinaia di responsabili sociali che sono stati assassinati perché erano favorevoli alla sostituzione delle coltivazioni clandestine con colture legali, e che sono nel mirino dei narcotrafficanti che non vogliono rinunciare alla loro materia prima”, ha ammesso il Presidente Juan Manuel Santos, premio Nobel per la Pace 2016. Per poi sottolineare: “Dopo 53 anni di guerra, la violenza non può essere cancellata da un giorno all’altro”.
La sicurezza è una questione capitale per gli ex guerriglieri, che ricordano come fosse ieri che negli anni ’80, diverse migliaia di dirigenti e militanti dell’Unione Patriottica, vetrina politica dei Farc, erano state liquidate dai paramilitari in margine a un primo tentativo di negoziazioni di Pace.
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