La banda del Gobbo (Film, 1977)
La banda del Gobbo vede alla regia Umberto Lenzi, autore di soggetto e sceneggiatura, alla stesura dei dialoghi collabora Tomas Milian. La fotografia è di Federico Zanni, il montaggio di Eugenio Alabiso, le scenografie sono di Giuseppe Bassan e le musiche di Franco Micalizzi. Tomas Milian viene ripresentato come Vincenzo Marazzi, detto il Gobbo, per la seconda e ultima volta, dato che finisce morto in fondo al Tevere. Altri interpreti: Pino Colizzi (commissario Sarti), Isa Danieli, Guido Leontini, Luciano Catenacci, Solvi Stubing, Sal Borgese, Francesco D’Adda, Fulvio Mingozzi, Nello Pazzafini, Mario Piave e una piccola schiera di caratteristi.
Dopo il grande successo popolare di Roma a mano armata (1976), Umberto Lenzi torna a dirigere uno dei migliori Tomas Milian del periodo romano, quello del doppio ruolo di Vincenzo e Sergio Marazzi, il Gobbo e Monnezza, dei quali ha anche scritto tutte le battute. Tecnicamente meno valido del precedente, ben musicato da Franco Micalizzi, questo film ha ancora il vantaggio di non essere incentrato sulla figura del commissario, ma su quella dei malviventi. La polizia, infatti, è poco presente: entra in scena dopo un quarto d’ora, un poliziotto finisce legato fra i maiali, e soprattutto nel finale, non riesce a prendere il Gobbo, che muore invece per colpa del destino (un gatto nero che gli taglia la strada). Sebbene il finale sembri comico La banda del Gobbo è una delle pellicole più tristi del genere. Nel finale, sulle note di Quanto sei bella Roma di Antonello Venditti, la morte di Vincenzo segna il passaggio delle consegne a Sergio che diventerà personaggio unico nel genere. Il fratello spenge la radio nel momento in cui in cui stanno parlando della morte del fratello e quindi lo crede ancora vivo. Un finale che lasciava aperta ogni possibile continuazione (“C’ha sette vite come i gatti…”), ma che è stata fatta in direzione di Monnezza.
Punti vitali della pellicola: la preparazione del primo colpo e tutta la sequenza nel night club. Monnezza è un ladruncolo che lavora pulito e non vuole avere niente a che fare con le armi, la sua morale è l’opposto di quella del Gobbo. Il Gobbo è un personaggio interessante, ma ancor più geniale appare la figura del Monnezza, che avevamo già incontrato ne Il trucido e lo sbirro ma che in questo film sviluppa tutte le sue potenzialità. Tomas Milian ha campo libero e perfeziona l’idea di Sacchetti e Lenzi scrivendosi tutte le battute. Monnezza diventerà un’icona del cinema di genere e soprattutto del poliziottesco, questo borgataro coatto sboccato e volgare, che dice una parolaccia ogni frase, che si arrabbia e grida di continuo, che fa le rime trucide in romanesco, colpisce la fantasia del pubblico e decreta il successo del film. Due sono le componenti base del film: la violenza nelle scene in cui il Gobbo pratica le sue vendette e la comicità grassa e volgare delle battute di Monnezza. Si tratta di un film chiave del genere poliziottesco, soprattutto innovativo per il modo in cui affronta la materia.
La pellicola segna la fine della collaborazione tra Umberto Lenzi e Tomas Milian. Forse il cubano aveva voluto strafare e si era avvalso troppo della sua popolarità per controllare regia e montaggio, pare che per un accordo con la produzione era lui ad avere l’ultima parola su tutto. Milian spinse il suo personaggio verso una volgarità estrema, inventò pure certe battute in romanesco con la rima che ripeterà spesso nei film successivi e che incontrarono il gusto del pubblico. Fu una scommessa vinta perché il regista non credeva che certe situazioni potessero funzionare, le vedeva cose gratuite e fuori luogo. Peccato solo che Milian si troverà ingabbiato nel cliché del coattone trucido e si vedrà proporre soltanto parti da recitare ai limiti del turpiloquio. L’evoluzione del Monnezza infatti porterà alla variante poliziottesca del maresciallo Nico Giraldi che impegnerà Milian per ben undici film non tutti di buon livello.
Ricordiamo questo film per citare la scomparsa prematura dell’affascinante Solvi Stubing (Berlino, 19 gennaio 1941), morta il 3 luglio 2017. Popolare in Italia per aver interpretato la pubblicità della famosa birra e per aver pronunciato il refrain “Chiamami Peroni, sarò la tua birra!”. Tra i suoi film: Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli (1965), Made in Italy di Nanni Loy (1965), L’ombrellone di Dino Risi (1965), La banda del Gobbo di Umberto Lenzi (1977) e L’ingorgo di Luigi Comencini (1978). Negli anni Ottanta aveva condotto una serie di rubriche televisive dedicate al cinema trasmesse sulle tv locali. Possedeva una quota dell’Isvema, la società che ha prodotto, fra l’altro, molti dei rotocalchi da lei condotti. Era apparsa su Playman e Playboy, poi aveva lasciato il mondo dello spettacolo per tentare una carriera nella politica. Membro della Commissione delle donne europee ai tempi di Craxi presidente del Consiglio, nel 2004 era stata candidata al Parlamento europeo nelle liste di Alleanza Nazionale.
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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]