Venezia come Disneyland

Venezia è come Disneyland. O meglio, sembra ‘la versione Las Vegas di Venezia piuttosto che quella vera’: la bufala commerciale oscura la realtà reale della città nella percezione del turista e del residente, secondo il New York Times, che dopo il Guardian ha dedicato a Venezia un editoriale ripreso da molte testate italiane. A Venezia il New York Times osserva la mercificazione, il sovraffollamento e, con acume, la ‘mancanza di Italiani’. Una città è morta senza i suoi abitanti. Ma il business, lasciato libero da amministrazioni deboli e distratte, non ama i residenti, i commercianti, gli abitanti: a Venezia come a Firenze o a Roma, contende loro spazio vitale, svuota edifici da trasformare in alberghi, occupa le vie di passaggio con i tavolini, gli angoli delle strade con gazebo di servizi turistici mordi e fuggi, i parcheggi con i funerei furgoni porta-turisti. I centri storici sono popolati da facce interessate, da sorrisi commerciali. Da una babele di idiomi anziché da saluti e battute in italiano.

Ma non è questo che il turista cerca nel suo ‘viaggio in Italia’: rito celebrato dal Goethe e coltivato in tutto il mondo come una sorta di pellegrinaggio alle radici della cultura e della storia. Il turista, come il residente, è vittima, è gabbato dal turismo di massa: per questo ne parla il New York Times. Per questo ne aveva parlato The Guardian. Da anni il fenomeno è allarmante, ma ora sta scoppiando.

Il ministro Franceschini se n’è accorto, meno male. Cerca rimedi. Corre ai ripari. Propone modelli di sviluppo. Discute sui tornelli. Ma porta avanti progetti come il Parco archeologico del Colosseo, criticato pure da Italia Nostra, e mostra quindi di non avere idee innovative rispetto a quelle del turismo di massa. Certo, se di fronte al business si è passivi, atteggiamento diffuso ma errato per politica ed amministrazione, di idee non se ne possono trovare molte. C’è da immaginare che al ministro non venga suggerita che la ‘sostenibilità’, probabilmente: ovvero un contingentamento degli accessi, una limitazione dei grandi numeri del turismo di massa, cioè una differenza di grado e non di qualità. Un sistema difficile da gestire, oltretutto: come determinare le quote massime per i tour operator? Già oggi, musei e siti archeologici sono presidiati, in primis, da alcuni soggetti piuttosto che dallo Stato come un tempo. Come garantirne l’accesso a pari condizioni a tutti gli operatori commerciali? E come salvare, in un sistema di quote, lo spazio vitale del turismo indipendente dai tour operator? Già oggi è quasi impossibile, per il turista indipendente, non avere a che fare con file chilometriche e improbabili ‘saltafila’ per visitare siti e musei. E, a Venezia, andare da Piazzale Roma a Piazza San Marco senza finire spintonato dentro questa o quella comitiva che lo ‘trasporta’ come un tapis roulant impedendogli una sosta per uno scorcio o una bottega artigiana.

E’ chiaro che una soluzione alla mercificazione del patrimonio culturale italiano e mondiale va cercata altrove. E’ chiaro che il problema rientra in quello, più vasto, della debolezza della politica rispetto ad una certa economia, quella di basso livello, di mero sfruttamento e non di produzione, in Italia e nel mondo. Ed è chiaro che è su questo che si deve lavorare. Il New York Times, il Guardian, denunciano. Il Franceschini si da’ da fare. Non basta: ci vuole grinta intellettuale. Ci vuole una svolta. Si può fare.

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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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