Brexit, venti mesi a disposizione
Stando a quanto riportano le ultime fonti di Agenzia la Gran Bretagna sarebbe disposta a pagare 36 miliardi di sterline (circa 40 miliardi di euro) per uscire dall’Unione. Questa la cifra che il Governo di Theresa May sarebbe disposta a pagare per “regolare i conti” e ottenere la Brexit, mentre continuano i dialoghi a Londra tra chi vorrebbe una “Brexit dura” e chi, invece, un accordo “morbido”.
All’indomani della gravissima crisi economico-finanziari-sociale che ha attraversato l’Europa, scuotendo i Mercati e di cui l’Europa sta continuando a pagare lo scotto, cercando, ora come non mai, di rinsaldare l’assetto comunitario, il “progetto europeo”, tra tensioni populistiche in molti Paesi dell’Unione, effettiva fragilità congiunturale di molte economie e gravi instabilità politiche, alle quali non si riesce a trovare soluzione, è reso ancora più fragile dalla realtà che a Brexit che tra pochissimo avverrà, nonostante le misure che pur si cercano, per rafforzare la “zona euro” e rinsaldare l’assetto comunitario.
Le emergenze con cui ci si trova alle prese: crisi economica, emergenza rifugiati, allarme sicurezza fanno sì che si pensi a una risposta nazionale o nazionalistica, per la soluzione più efficace dei tanti e gravi problemi da parte di molti Paesi e Governanti.
Risposta nazionalistica che appare quasi come un baluardo per tranquillizzare “Popoli” e opinioni pubbliche in cerca di sicurezza e impaurite da una globalizzazione oramai, per molti versi sfuggita di mano e che ha acuito le disuguaglianze sociali oltre a rendere più profondo e pervasivo l’impoverimento economico dei ceti medio-bassi. Ma tant’è, questo è quello che di qui a qualche mese avverrà.
La Brexit dovrebbe essere portata a termine entro ottobre 2018, mentre entro marzo 2019 l’accordo dovrebbe essere approvato dai Ministri degli Esteri dei 27, a maggioranza qualificata, con il parere vincolante dell’Europarlamento e dal Parlamento britannico. I termini dell’accordo economico che la May vorrebbe sarebbero validi, però, solo se Bruxelles fosse disposta ad accettare di negoziare l’accordo nella prospettiva di una possibile intesa sulle relazioni future che comprenderà anche un’intesa più specifica sul commercio. E comunque, nella sequenza degli eventi, prima deve “avvenire il divorzio e poi il chiarimento sulle future relazioni una volta che ci siano progressi sufficienti su questioni chiave come i diritti dei cittadini e l’accordo finanziario” ricordano le fonti.
Ricordiamo quando lo scorso marzo il premier britannico sancì il “divorzio ufficiale” del Regno Unito dall’Unione Europea, facendo consegnare dall’Ambasciatore Tim Barrow al Presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk la lettera di notifica dell’art 50 del Trattato di Lisbona, documento con cui si diede inizio ai negoziati con Bruxelles, invocando appunto, l’art 50. Atto che, tra le tante, comporterà la conseguenza dell’uscito di Londra dal Mercato Unico. E ricordiamo la dichiarazione con la quale la May, davanti alla Camera dei Comuni sancì, sempre lo scorso marzo, l’inizio della Brexit ufficiale: “…non si torna indietro, lasciare la UE ci mette davanti opportunità uniche, è un momento storico. Un’opportunità per la Gran Bretagna per diventare più forte, più equa, più unita. I giorni migliori sono davanti a noi. Il nostro obiettivo deve essere quello di diventare un Paese globale. Ora più che mai il mondo ha bisogno dei valori democratici dell’Europa – proseguì nella sua dichiarazione il Capo del Governo inglese, ignorando le contestazioni provenienti dalle Banche dell’opposizione”.
Quando Londra uscirà definitivamente dalla UE e comunque non prima del marzo 2019 avrà termine la libera circolazione dei cittadini europei in entrata e in uscita dalla Gran Bretagna: questo è quanto dichiara la portavoce della May, all’indomani della recente presa di posizione del Ministro delle Finanze Philip Hammond in cui affermava che non ci sarebbero stati cambiamenti immediati relativi alla regolamentazione dell’immigrazione. Sempre la portavoce della May puntualizza che il “…Governo ha già definito alcuni dettagli tra cui quelli relativi ai diritti post-Brexit dei cittadini UE – proseguendo – sarebbe sbagliato fare congetture su quali potrebbero essere altri elementi del sistema di immigrazione post-Brexit, che è meglio presentare più avanti o suggerire che la libera circolazione resterà quella di adesso”.
Dal alto finanziario il Governatore della Bank of England, Mark Carney afferma che non dovrà essere necessariamente un evento traumatico la Brexit, ma, in ogni caso, è bene lavorare per far sì che questo pericolo sia scongiurato. Le Banche coinvolte sono Barclay, RBS, HSBC, Lloyds Banking Group Plc, Nationwild Building Society, Santander U.K. Plc and Standard Chartered Plc. Inequivocabile è che la Brexit modificherà gli equilibri che fino ad ora si sono avuti portando rischi imprevedibili per l’economia ma anche per la stabilità politica del Regno Unito.
Per ora il documento da non molto presentato dalla May ai vertici dell’Unione Europea, relativo ai diritti dei cittadini UE residenti in Gran Bretagna non è piaciuto: è stato visto solo come una richiesta di scambio. Per Juncker, Presidente della Commissione Europea, “…le affermazioni della leader britannica sono solo un primo passo, ma insufficiente”, per Tusk, Presidente del Consiglio: “…rischia di peggiorare la vita dei cittadini europei”.
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