Vigili e vigilesse (Film, 1981)

Se decidi di guardare un film intitolato Vigili e vigilesse di Franco Prosperi non puoi aspettarti di vedere un capolavoro, vuoi per la crisi del cinema di genere italiano nei primi anni Ottanta, vuoi perché il barzelletta movie è ormai alla frutta.  Ma ci sono dei motivi di interesse in una simile pellicola, che non conosci e solo per questo attira la tua attenzione, non puoi proprio fare a meno di vederla.

Prima di tutto il regista. Ti chiedi come possa aver girato un simile film proprio Franco Prosperi, collaboratore di Jacopetti, Morra e Climati, uno degli inventori del mondo movie, soltanto un anno dopo autore di un buon film avventuroso come Bestie feroci (1982). E infatti non è lui, da una lettura successiva del manuale di Roberto Poppi sui registi italiani, ti accorgi che è un omonimo, autore di commedie e film d’azione, ex aiuto regista di Mario Bava. Ma quando scrivi la recensione per la prima volta, cadi in errore, in buona compagnia, perché identico errore l’ha commesso Morandini. Regia elementare, forse, perché il soggetto di Bruno Ruscitti – sceneggiato con poca fantasia da Franciosa e Robutti – è ai minimi storici, partendo dal canovaccio della scuola di formazione per vigili situata in un albergo romano, dove Gianni Magni interpreta un cabarettistico insegnante chiamato a preparare i nostri tutori dell’ordine all’incontro con i colleghi inglesi.

Vigili e vigilesse è un film contenitore di generi e sottogeneri, pur senza risolversi in un genere definito: barzelletta movie (con battute fiacche e scontate), commedia sexy (con tutti i topoi del genere, dai vigili che spiano le colleghe nude dal buco della serratura agli sguardi ammiccanti, manca giusto la doccia…), cinema grottesco, farsa slapstick piena zeppa di fast motion come ai tempi del muto, pochade alla Feydeau (con scambi di camere e situazioni paradossali). Si punta sulla comicità fisica e strampalata di Bracardi, vigile appassionato di karate in cerca del primo amore (il travestito Caracciolo), che si caccia in un mare di guai, ma anche sulla verve comica di Andy Luotto, portiere assonnato che finisce per trovare un sacco di soldi. Interessante interpretazione di Mario Marenco, molto radiofonica, con la telefonata al ministro e alla sua signora, cavallo di battaglia di un Alto Gradimento di arboriana memoria. La sottotrama della ricerca di Ornella Muti, bellezza vagheggiata da un vigile, non è il massimo, ma serve a inserire una flebile storia d’amore e per creare un ruolo adatto alla bellezza di Stella Carnacina, che prende il posto dell’attrice nel cuore del vigile. Tra l’altro l’attrice napoletana pare quasi ripudiare il film giudicandolo in sede d’intervista “un prodotto commerciale e stupidino”. Tra le interpretazioni peggiori un insopportabile Raf Luca, innamorato respinto della Carnacina, che decide di attendere la sua bella seduto sopra una panchina, “fino a lasciarci il culo”. In realtà rischia di perderlo per le fucilate di un domestico pugliese che l’ha preso di mira e non vuole che la cognata perda tempo con lui. Ricordiamo un’orribile canzoncina trash che l’attore intona tra un tentativo di battuta e l’altro.

Vigili e vigilesse pare un film a episodi, procede stancamente tra vignette fumettistiche che ricordano il cartoon e sorrisi strappati da freddure troppo cinefile che giocano sull’assonanza tra chachet e cash-sex. Uno dei motivi d’interesse della pellicola sta pure nel vedere all’opera la banda di Arbore, reduce da Alto gradimento, L’altra domenica, Quelli della notte… ma abbiamo la conferma che Bracardi, Marenco e Luotto sono animali da palcoscenico e da radiotelevisione più che da cinema. Ricordiamo il cammeo di Tiberio Murgia, un solito ignoto finito per sbaglio in una commedia di serie C e alcune bellezze sprecate come Cinzia De Ponti, Mariolina Affano e Donatella Donati, per tacer della Carnacina che gode di un ruolo più concreto. L’avatiano Pietro Brambilla dopo La casa dalle finestre che ridono è destinato a interpretare lo scemo del villaggio, in questo caso dell’albergo. Altri comici come Musumeci e Madia sono da dimenticare per la pochezza delle battute, mentre Gianni Magni è cabarettistico con la gag delle scarpe di piombo che lo fanno capitolare di fronte alla bella di turno.

Un film che si rivede solo per interessi culturali e storici, consigliato solo agli amanti del cinema italiano, ma che alla fine conserva tutto il sapore delle occasioni perdute. Resta solo una considerazione: erano tempi in cui si poteva persino improvvisare un film e realizzarlo dal niente.

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Regia: Franco Prosperi. Soggetto: Bruno Ruscitti. Sceneggiatura: Massimo Franciosa, Enzo Robutti. Scenografia e Arredamento: Enzo Celone. Montaggio: Roberto Sterbini. Fotografia: Cristiano Pogany. Direttore di Produzione: Toni Di Carlo. Musiche: Gianni Ferrio. Edizioni Musicali: Cam. Operatore alla Macchina: Adolfo Bartoli. Fotografo di Scena: Ermanno Serto. Fonico: Gaetano Carito. Doppiaggio: CVD. Sincronizzazione: Santini Edizioni. Mixage: Franco Bassi. Sviluppo e Stampa: Luciano Vittori. Produttore: New Kim Cinematografica. Interpreti: Andy Luotto, Giorgio Bracardi, Mario Marenco, Gianni Magni, Tuccio Musumeci, Stefano Madia, Stella Carnacina, Nicola Pignataro, Mariolina Affano, Donatella Diamiani, Pietro Brambilla, Cinzia De Ponti, Raf Luca, Franco Catalano, Tiberio Murgia, Franco Caracciolo, Alfredo Adami, Adriana Loran, Francesco De Leone.

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 [NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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