Virzì, la città vista dagli occhi di Caterina
Caterina va in città (2003) è girato tra Montalto di Castro e Roma, due location insolite per Carlo Virzì, pure se Montalto ha una realtà industriale ricorda un po’ la Piombino de La bella vita. In realtà il film si svolge soprattutto a Roma e il filo conduttore della vicenda è l’avventura nella Capitale della famiglia Iacovoni. Montalto si vede soltanto nelle prime scene che mostrano la partenza della famiglia e poi ritorna con alcuni siparietti vacanzieri e natalizi. Caterina ha lasciato a Montalto una specie di fidanzato che in ogni caso quando lei torna non la comprende più, dice che lei si è montata la testa. Virzì sa parlare della provincia italiana come pochi altri, però in questo film dimostra di saper descrivere pure vizi e difetti di una città come Roma.
Vediamo la storia. La famiglia Iacovoni è composta da Giancarlo, Agata e Caterina. Giancarlo è un insegnante di ragioneria che lascia Montalto di Castro per andare a insegnare in un liceo della capitale. Giancarlo tra le pareti domestiche soffoca la moglie Agata (provinciale e complessata) e spinge la figlia Caterina a farsi avanti tra le amiche della classe che hanno alle spalle una famiglia importante. La ragazzina, spaesata e candida, viene contesa tra Margherita e Daniela, la prima figlia di una scrittrice e di un noto intellettuale, la seconda rampolla di un importante esponente dell’attuale governo. Nel corso dell’anno scolastico Caterina scopre cosa vuol dire vivere la realtà di Roma e avere a che fare con una certa umanità metropolitana. Al tempo stesso Giancarlo subisce continue disillusioni e frustrazioni e il suo carattere lo porta a un abbandono sempre più depressivo.
Caterina va in città è un film dove non si salva nessuno e ricorda molto Ferie d’agosto per la contrapposizione radicale tra destra e sinistra. Virzì dipinge un paese diviso nella mani di arricchiti, radical chic, potenti un po’ rozzi e intellettuali raffinati e si capisce che il regista non sta dalla parte di nessuno di loro. Lo sguardo ingenuo di Caterina a contatto con un mondo più grande di lei è quello che fa da filo conduttore ed è la sua voce fuori campo che accompagna lo spettatore alla scoperta della storia.
Il film non è un romanzo di formazione perché l’arco temporale abbracciato è troppo modesto, la storia è quella di una ragazzina di tredici anni che d’improvviso cambia vita e passa dalla provinciale Montalto di Castro alla Roma divisa tra pariolini e coatti, tra figli della sinistra intellettuale e rampolli della nuova destra. E deve subirne le conseguenze. La contrapposizione tra modo di vivere della destra e della sinistra, delle classi agiate e delle classi subalterne è vista seguendo la vita di due studentesse delle scuole medie. Alice Teghil è perfetta nel ruolo della ragazzina campagnola e spaesata alle prese con un mondo che non comprende e facile preda delle più smaliziate compagne. Molto bravo è pure Sergio Castellitto nella parte di Giancarlo, insegnante e padre frustrato e nevrotico, in continua lite con il mondo e con quelle che lui chiama le “conventicole” (chi non ha dovuto farci i conti?). Giancarlo ha l’ambizione di fare lo scrittore, cerca di ottenere ascolto da politici e da personaggi televisivi, ma ottiene soltanto rifiuti. Lo scontro di Giancarlo con il mondo della destra e della sinistra è lo scontro quotidiano di tanti uomini comuni contro le difficoltà della vita. È brava pure Margherita Buy nella parte di Agata, madre depressa e incapace, succube del marito ma che alla fine si ribella e vive una sua vera storia d’amore.
Non c’è salvezza per nessuno in questo film: destra, sinistra, ricchi, poveri, intellettuali, faccendieri, politici. Ognuno ha difetti talmente grandi e radicati che è impossibile perdonare e capire. L’unico atteggiamento che paga pare essere quello ingenuo di Caterina o di sua madre, diverse ma simili nella difficoltà a capire la realtà che le circonda. Caterina esclama spaventata e ingenua il suo “Ammappe” che diventa quasi un grido di battaglia ed esperimenta il nuovo che le si presenta davanti. Certo che lo fa un po’ a casaccio, senza capire, con gli occhi di una bambina, però ci prova e non si scoraggia. Il padre invece è la classica figura senza speranza, ossessionato dalle “conventicole” che lo escludono, in collera con tutti, è destinato a perdersi e a crollare definitivamente. Il mondo non è fatto per quelli come Giancarlo che vorrebbero essere quello che non sono, che ci provano ma che in fondo fanno poco per essere davvero diversi. In ogni caso il film non vuole dire che “le colpe dei padri ricadono sui figli”. Tutt’altro. Caterina ha un atteggiamento troppo diverso da quello del padre, ma pure il comportamento delle amiche figlie di potenti uomini di destra o di snob radical chic di sinistra va oltre i facili schemi preconfezionati. Alla fine pare che soltanto riuscire a mantenersi ai margini del mondo sia la soluzione e Caterina ci riesce con i dischi di Giuseppe Verdi e con la sua aria ingenua. L’unica via di uscita è tenersi fuori dalla bolgia e non farsi prendere da un vortice impietoso che ti può solo stritolare.
Il pregio di Caterina va in città è quello di saper mettere in scena il peggio della destra e della sinistra, indicare i rischi e le cose che non vanno, far capire i mali di entrambi i modi di pensare e tutto ciò che non va di un’Italia divisa. La figura del padre è emblematica. Giancarlo non è né uomo di destra né di sinistra però vorrebbe essere come loro, combatte le “conventicole” ma in fondo ne cerca una che lo protegga e che gli permetta di raggiungere il successo.
La storia di Caterina è quella di una ragazzina impacciata di campagna che a Roma incontra una realtà molto diversa dalla provincia da cui proviene. Diventa amica intima prima di una ragazzina “comunista”, figlia di una celebre intellettuale, poi si avvicina a un gruppo di ragazzine, la cui leader è figlia di un onorevole di destra. Le due realtà politiche sono ben rappresentate attraverso l’abbigliamento, il linguaggio e il modo di fare delle adolescenti, ma la diversità si annulla di fronte all’ingenuità di Caterina, all’assenza della madre e alle frustrazioni del padre. Il padre è la chiave di volta del film e la sua figura rappresenta tutti coloro che non hanno un posto dignitoso all’interno della scala sociale, che non hanno un lavoro gratificante, che si sentono frustrati, inutili, ignorati, in una parola esclusi. Agli occhi di queste persone poco importa se si è di destra o di sinistra, tutti sono uguali, purché contino qualcosa. Significativo è l’incontro, in presenza del padre di Caterina, tra due genitori di opposti schieramenti politici: l’onorevole di destra e l’intellettuale di sinistra, che si scambiano amichevolmente pacche sulle spalle, solo in nome della reciproca popolarità. “Pappa e ciccia” li definisce Sergio Castelletto. “Avresti dovuto vederli”, dice a tavola con la famiglia, irritandosi sempre di più. Il padre scivola in un’isteria sempre più cupa e nelle urla finali: “Quella è gente privilegiata, noi per loro siamo niente, siamo solo dei pupazzi”.
Virzì lancia una denuncia che esprime una visione pessimistica, anche troppo esasperata, ma forse così voluta per rendere più chiaro il messaggio. Le impennate isteriche di Sergio Castelletto ricordano le analoghe isterie del mucciniano Ricordati di me e riguardano sempre questioni all’interno del nucleo familiare, pure se qui il problema non si esaurisce in esso, ma volge lo sguardo alla società.
Lo sguardo di Caterina dalla finestra del piano di fronte (ospitata da un ragazzo australiano, dopo essere scappata da casa), ricorda il punto di vista “esterno” di Ozpetek ne La finestra di fronte, per un attimo Caterina diventa spettatrice della sua vita, anche se qui l’intento sociologico è molto più annacquato. E forse proprio perché ha avuto la possibilità di guardare la sua vita, quello che sono i suoi genitori, quello che sarebbe diventata, che alla fine reagisce a questa terribile omologazione sociale e quasi predestinazione. Realizza il suo sogno di cantare in un coro, sfugge alle consuete regole della società che impongono l’affermazione sociale, incurante del fatto di dover avere per forza una certa posizione. Segue la sua attitudine, nella sua ingenuità che l’ha connotata per tutto il film e che alla fine forse l’ha salvata. Dà così uno schiaffo morale a un padre che per tutta la vita ha cercato di avere una posizione dignitosa, ma che alla fine è rimasto inghiottito dai suoi stessi insuccessi e frustrazioni. Il padre non può vedere Caterina felice perché è andato via con la sua moto, icona di una gioventù e spensieratezza ormai perse per sempre. La scena finale del film che scorre nei titoli di coda ce lo ritrae addirittura sul Malecón dell’Avana a Cuba mentre lancia la moto in una corsa sfrenata. Ha abbandonato la famiglia, una struttura sociale che sembrava intoccabile, ma pure quella era ormai disastrata.
Virzì guarda il mondo con gli occhi innocenti degli adolescenti e il mondo appare sempre strampalato come i personaggi che ci vivono dentro. Un mondo fatto di ricchi e di poveri, di destra e di sinistra, dove bisogna cercare una scusa per avercela con gli altri, per sentirsi diversi, per cercare una via di uscita e non pensare a se stessi.
Il contrasto tra la leggerezza dello sguardo “adolescenziale” di Virzì si contrappone alla pesantezza delle insanabili frustrazioni di Sergio Castellitto. Lui è un uomo che appesantisce la vita della figlia e quella della moglie, senza mai alleggerire il suo fagotto di rimpianti, di occasioni perse che lo tormentano. Poi tutto scoppia, tutto tracolla. Non rimane che la fuga. Una fuga senza senso, però. Il vano tentativo di liberarsi di un peso che invece é dentro e difficilmente lascia chi ne soffre. Gli eroi positivi del film sono coloro che si abbandonano con occhi incantati alle proprie passioni, chi è capace di ridere di poco, chi pensa a costruirsi una vita.
Alice Teghil, bravissima a interpretare l’ingenuità un po’ campagnola di Caterina, ha seguito alla lettera le direttive di Virzì e ha fatto violenza al suo vero personaggio. Alice nella vita di tutti i giorni è una che va in palestra, porta le magliette con l’ombelico fuori, mette il lucidalabbra viola, ama i vestiti griffati, la musica di Britney (e non Giuseppe Verdi). “Faccio parte di una generazione consumista e la colpa è dei nostri genitori” ha detto a Mirella Serri di Sette che l’ha intervistata dopo l’uscita del film nelle sale. Riportiamo altre curiosità su di lei. Non apprezza Dawson’s Creek e i loro protagonisti, disprezza Leonardo Di Caprio pure se Titanic l’ha commossa, però ama Brad Pitt. Alice è una ragazzina come tutte le altre e non vuole essere diversa. Non è come Caterina che è indecisa su tutto, lei quando ha preso una decisione sulle amiche, sull’amore, sulla politica, va avanti per quella strada. Alice per esempio politicamente si dice di sinistra, senza nessun tentennamento. Legge Stephen King, adora l’horror, il pulp, il fantasy, i cartoni Manga e di Walt Disney, Sophie Kinsella, Buffy l’Ammazzavampiri. Veste alla moda, tutta Onyx e Levi’s, ha l’ossessione per le griffe, va pazza per la moda e per le marche. Tutto il contrario di Caterina, insomma. Alice vive a Tivoli e da grande vuole continuare a far l’attrice e viaggiare per il mondo. Ha i numeri giusti per farlo, nonostante la giovane età e poi ha esempi illustri di gente che ce l’ha fatta come Sophie Marceau (Il tempo delle mele), Jodie Foster (Taxi driver) e Stefania Sandrelli (Divorzio all’italiana). Alice Teghil ha quattordici anni e la prima cosa che dice durante le conferenze stampa è: “Non sono come Caterina che è un’incapace totale”. Caterina è un personaggio che piace più agli adulti che ai suoi coetanei, una sfigata, una ragazzina ingenua di campagna che “veste come un’extracomunitaria”. Virzì però dice che la debolezza di Caterina è solo un inno all’anticonformismo. Caterina è un personaggio positivo come positivi sono la madre e il vicino che vogliono vivere un’esistenza normale.
Per dire qualcosa sugli attori merita un cenno ancora il cammeo di Margherita Buy, una perfetta madre un po’ tonta che si trova coinvolta in una vita nella capitale che non comprende ma cerca di adeguarsi. Subisce le ire nevrotiche del marito ma tra i due è lei la più forte, pur nella sua incapacità casalinga e con tutti i suoi problemi. Quando Giancarlo cade in depressione è lei che lo aiuta e che lo sostiene e se non cede subito alla corte del vicino lo fa solo per il marito che ha bisogno del suo sostegno. Quando Giancarlo capisce che c’è una relazione tra loro decide di andarsene senza dire niente a nessuno.
Di contorno ma bravi sono anche Claudio Amendola (il politico della nuova destra) e Flavio Bucci (l’intellettuale di sinistra)
Per una volta Virzì fa tutto o quasi con attori professionisti e utilizza persino comparsate di personaggi televisivi, cinematografici e politici nella parte di loro stessi. E poi indovina il personaggio di Caterina con questa ragazzina scelta dopo ore di accurato casting e selezionata proprio per la sua aria indifferente a quel che le accade intorno. Alice è diversa da Caterina ma è perfetta per interpretarla.
Il risultato è un film originale, profondo, intenso, che a tratti commuove e rende lo spettatore partecipe della vicenda, come un bel romanzo dell’Ottocento, come una commedia all’italiana vecchia maniera. Tutto questo è il cinema di Virzì.
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Regia: Paolo Virzì. Soggetto e sceneggiatura: Paolo Virzì e Francesco Bruni. Direttore della fotografia: Arnaldo Catinari. Produttori: Guido De Laurentis (prod. esecutivo), Riccardo Tozzi e Giovanni Stabilini. Musica: Carlo Virzì. Montaggio: Cecilia Zanuso Scenografia: Tonino Zera. Costumi: Bettina Pontiggia. Casting: Dario Ceruti, Carlo Virzì ed Elisabetta Boni. Compagnie di produzione: Cattleya, Sky e Rai Cinema. Distribuzione in Italia: 01 Distribution. Interpreti: Sergio Castellitto (Giancarlo Iacovoni), Margherita Buy (Agata Iacovoni), Alice Teghil (Caterina Iacovoni), Antonio Carnevale (Cesarino) Carolina Iaquaniello (Margherita Rossi Chaillet), Margherita Mazzola (Martina) Martina Taschetta (Alessia) Giulia Elettra Gorietti (Giada) Giovanna Melandri (se stessa), Roberto Benigni (se stesso), Maurizio Costanzo (se stesso), Michele Placido (se stesso), Simonetta Martone (se stessa), Andrea Pancani (se stesso), Claudio Amendola (Manlio Germano), Flavio Bucci (Lorenzo Rossi Chaillet), Paola Tiziana Cruciani (zia Marisa), Silvio Vannucci (Fabietto Cruciali), Emanuele Aiello (Mirko) e Ottavia Virzì (Zecca).
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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]
Un Commento
Uno dei film piu’ iconici che io abbia mai visto. Sono nato cresciuto e tutt’ora vivo a Roma. Posso confermare la realta’ dei fatti, raccontata dal film, tra zecche,parioli, coatti, locali, mode, usi e costumi.