Catalogna, la lunga scia di tensioni con Madrid
I primi problemi tra la Catalogna e il potere centrale spagnolo risalgono al XV° secolo, ma è all’inizio del 2000 che l’attuale crisi prende forma.
Migliaia di Catalani hanno nuovamente chiesto a Barcellona, lo scorso 21 Settembre, l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione vietato da Madrid. Il governo separatista della Catalogna ha tuttavia riconosciuto, il giorno stesso, che la grande operazione di polizia portata avanti nella Regione aveva “alterato” l’organizzazione della consultazione. Una crisi che va ad aggiungersi a tante altre, incastonate nella storia delle complesse relazioni tra la Catalogna e il potere centrale.
Ma a quando risalgono le tensioni tra i due poteri? Nel XV° secolo, un Re di discendenza castigliana sale sul trono di Aragona la cui contea di Barcellona (attuale Catalogna) faceva parte. Per i catalanisti, questo è l’inizio dei problemi. Ma è anche una tappa della lunga storia comune. Ci sono stati diversi periodi di tensione in seguito, soprattutto nel XVIII° secolo, quando le élite catalane si sono opposte all’accesso al trono di un Re proveniente dalla dinastia dei Borbone. Quest’ultimo, Filippo V, ha vinto e abolito le libertà locali. La sconfitta dell’11 Settembre 1714 è commemorata ogni anno, dal 1886, dai nazionalisti catalani. Nel XIX° secolo, con la perdita del mercato coloniale – gli Spagnoli rinunciano alla loro sovranità su Cuba, Porto Rico, Guam e le Filippine nel 1898 – la borghesia catalana, frustrata, comincia ad utilizzare il nazionalismo catalano come leva per avere un peso politico sulle élite del resto della Spagna. E’ qui che nasce il nazionalismo catalano contemporaneo, organizzato e strutturato. Ma queste storie antiche non spiegano la crisi di oggi: non sembra esserci infatti determinismo storico, ma solo dei fatti storici mobilitati per costruire un progetto geopolitico secessionista.
Dagli anni 2000 in poi, c’è una congiunzione di fenomeni politici ed economici. Da una parte, José Luis Zapatero, diventato Capo di Governo nel 2004, comincia una fase di revisione degli statuti delle autonomie. Il nuovo statuto per l’autonomia della Catalogna, che sostituisce quello del 1979, viene redatto da un governo catalano di coalizione: socialisti, nazionalisti di sinistra (ERC) e comunisti-verdi. Adottato dal Parlamento catalano e, in seguito, dai deputati di Madrid nel Marzo del 2006, il nuovo statuto è formato da 223 articoli, invece dei 57 presenti in quello del 1979. Ma il Partito Popolare lo impugna davanti alla Corte Costituzionale spagnola che, nel 2010, boccia 14 articoli giudicati “incostituzionali”: i giudici confutano così qualsiasi valore giuridico al riferimento della Catalogna come “nazione”, rifiutano il catalano come lingua di riferimento del governo locale ed escludono la possibilità di creare un sistema giudiziario catalano totalmente indipendente. La decisione della Corte ha come conseguenza una grande manifestazione a Barcellona che afferma: “Siamo una nazione, decidiamo noi”. Nel frattempo, con la crisi economica del 2008, un parte considerevole dell’opinione pubblica catalana comincia a prestare ascolto ai discorsi separatisti radicali fino a quel momento ignorati e questo perché le misure prese da Madrid per limitarne gli effetti portano al controllo centrale sulla spesa pubblica delle comunità.
Come si spiega quest’inversione di tendenza? La Costituzione spagnola del 1978 determina come le provincie si possano raggruppare in comunità autonome, ma non da una vera e propria indicazione sulla struttura che devono avere le relazioni tra il potere centrale e le comunità autonome visto che la maggior parte di esse non esisteva quando fu adottata la Costituzione. Il testo riconosce tuttavia l’esistenza di più nazionalità mentre definisce la “nazione spagnola” come “indivisibile”. Da allora, le relazioni tra il potere centrale e i poteri locali si sono costruiti sull’improvvisazione, soprattutto quando i partiti di maggioranza avevano bisogno dei partiti nazionalisti minoritari per votare l’investitura di un Primo Ministro, senza alcuna visione politica d’insieme sulla Spagna. Sicuramente i governi spagnoli hanno commesso molti errori, ma nessuno giustifica un qualsiasi “golpe”. Non era giustificato quello del ’36, come non lo era il tentativo fallito del 1981. Con l’operazione della Guardia Civil, alcune voci denunciano il ritorno dei fantasmi franchisti, ma queste accuse in realtà non sembrano avere un vero fondamento, anche se la situazione mostra molta insofferenza tra la gente. Il governo catalano moltiplica gli atti di insubordinazione. E’ logico che il governo centrale cerchi di applicare la legge ai massimi livelli consentiti. L’esecutivo avrebbe potuto ricorrere all’articolo 155 della Costituzione che prevede che il governo di Spagna possa impugnare il controllo delle istituzioni catalane, ma per fare questo ci sarebbe voluto tempo. Ciò non esclude il fatto che lo possa fare più in là. Molti Catalani chiedono al governo di Madrid di agire e pensano che avrebbe già dovuto farlo. Lo stesso Partito Socialista, primo partito all’opposizione, ha dato il suo sostegno ai conservatori per difendere lo Stato di Diritto. Siamo ancora in tempo per evitare una guerra civile?
Il 6 e 8 Settembre si sono tenute due sessioni nel Parlament di Catalogna del tutto irregolari, con l’opposizione fuori dall’aula per protesta. E lì si sono approvate due leggi: quella per il referendum e quella cosiddetta della “disconnessione” dalla Spagna, che gli stessi giuristi del Parlament di Barcellona hanno dichiarato contrarie allo Statuto catalano, alla Costituzione spagnola e alla legge internazionale. Le parole dello scrittore catalano Javier Cercas fanno riflettere. “Non possiamo sapere se Madrid permetterà mai la consultazione”, afferma lo scrittore in un’intervista rilasciata ad Andrea Nicastri sul Corriere della Sera lo scorso 28 Settembre, “anche se nessuna Costituzione democratica prevede la secessione, la domanda indipendentista resta a mio avviso legittima. Quello che non si può fare, mai, è calpestare la Legge anche se per rispondere a un sentimento degno. Si calpesta la democrazia e, quando saltano le regole, qualunque cosa può accadere”. L’attacco alla democrazia in nome della democrazia è un pericoloso paradosso. Cercas avrebbe anche la soluzione… seguire la strada del Qébec canadese.
E’ in atto una partita di biliardo complicata e rischiosa perché alcuni attori politici vogliono provocare scontri e azioni repressive. L’immediato futuro sembra essere molto incerto. Costituzione vs Indipendenza, una bella questione da risolvere. Legalmente.
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