Cronache dai Palazzi
È battaglia sullo ius soli, il diritto alla cittadinanza per i figli degli stranieri che sono cresciuti e hanno studiato in Italia. Era il 13 ottobre del 2015 quando la Camera dei Deputati dava il via libera al testo sulla cittadinanza, che prevede – considerate determinate condizioni – lo ius soli. In questo momento, però, il testo è bloccato a Palazzo Madama e per i dem e i centristi non si riuscirà a trasformarlo in legge all’interno dell’attuale legislatura.
All’interno del dibattito sullo ius soli è intervenuto anche monsignor Nunzio Galantino, segretario della Cei. Il governo “ha accelerato sui diritti delle coppie dello stesso sesso, si dia la stessa attenzione ai diritti degli italiani tenuti senza cittadinanza”, ha affermato monsignor Galantino accostando le due questioni e, di conseguenza, suscitando diverse reazioni da parte del mondo politico.
È comunque un problema di maggioranza che “non c’è”, come ha precisato Ivan Scalfarotto del Pd, intervistato dal Corriere della Sera. Scalfarotto inoltre ha sottolineato che “le due leggi hanno avuto da subito due percorsi parlamentari diversi”. Per di più “non c’è una competizione tra omosessuali e cittadini di seconda generazione”, né tantomeno “una gerarchia dei diritti e dell’inclusione”. Oltretevere ribadiscono comunque che “il Vaticano non vota, ma la Chiesa è tenuta a richiamare il cuore della questione”.
Anche il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, sottolinea che “la Santa Sede ribadisce i suoi principi, poi toccherà alla politica italiana decidere”. In sostanza occorre “trovare misure sia per l’accoglienza dei migranti, sia per la loro integrazione, al fine di permettere loro di inserirsi”, ha auspicato il segretario di Stato vaticano.
Il governo, a sua volta, è pronto a mettere la fiducia sul provvedimento dello ius soli, anche se ancora mancano dei voti per coagulare una maggioranza. Una ricerca che va avanti “con molta serietà”, come ha sottolineato il capogruppo dem in Senato, Luigi Zanda, dopo aver fatto il punto con il premier Gentiloni. Anche il ministro Graziano Delrio spera in una buona riuscita dello ius soli: “C’è tempo per approvarlo”, ha affermato Delrio. “Si tratta di un voto di coscienza e non credo che tra i sostenitori di Ap e 5 Stelle non ci sia nessuno sensibile ai diritti”, ha chiosato il ministro delle Infrastrutture. Per la sottosegretaria a Palazzo Chigi, Maria Elena Boschi, invece, si tratta di un provvedimento da mettere in “cima” a quelli da riproporre “nella prossima legislatura”.
“Se una legge è giusta va approvata” ha dichiarato il presidente del Senato Pietro Grasso, ribadendo il suo sì alle norme che dovrebbero definire il diritto di cittadinanza degli stranieri. “Non rinunciamo anticipatamente alle nostre posizioni e principi solo in funzione di un problema elettorale”, ha ammonito Grasso. Anche per Pier Luigi Bersani vale la pena andare avanti, soprattutto per affermare ciò in cui si crede: “Speriamo di poterci riprovare. Un centrosinistra che separa i valori che afferma dal combattimento è morto”.
Su un altro binario il Parlamento ha aggiornato il codice antimafia del 2011 con un intervento mirato sul piano patrimoniale, dato che la criminalità organizzata spara di meno ma si infiltra più facilmente, ad esempio tra i “colletti bianchi” delle amministrazioni pubbliche, nelle banche e tra i professionisti. La riforma del Codice antimafia è la diretta conseguenza di una legge di iniziativa popolare – tra i promotori la Cgil e l’associazione Libera di don Ciotti – ed è stata approvata in via definitiva dall’aula di Montecitorio con 259 voti favorevoli (Pd, Ap, Mdp) e 107 contrari (FI e M5S). L’obiettivo principale della riforma è la gestione dei beni confiscati in modo che siano nelle mani di amministratori capaci di salvaguardare imprese e occupazione.
L’estensione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali anche a chi non mafioso, è “indiziato” di partecipare a un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla concussione (e peculato) ha suscitato comunque un’ampia polemica in aula. Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia, si definisce “molto preoccupato perché si consente di confiscare beni senza sentenze passate in giudicato ma solo con attività istruttorie”. Ancora più aspro il commento di Ernesto Auci, deputato di Scelta Civica, che definisce il tutto una “follia”, in quanto “basta il solo sospetto di corruzione prima ancora del rinvio a giudizio per vedersi sequestrare i propri beni”. Fabrizio Cicchitto di Ap ha invece prodotto un ordine del giorno invitando l’esecutivo a monitorare l’applicazione della legge e, magari, favorire l’avvio di un decreto correttivo. In definitiva, il ministro per i rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro assicura che “la legge andrà monitorata nei suoi effetti e sarà l’applicazione anche prudente che verrà fatta dai magistrati a consentire di verificare la sua efficacia”.
Nel contempo, la ministra Finocchiaro mette a punto le nuove norme, considerandole un passo in avanti invece che uno indietro: “Ora si estende la possibilità del sequestro e della confisca dei beni ai casi in cui i reati contro la pubblica amministrazione sono collegati a un’associazione criminale, quando esiste una organizzazione che si occupa ad esempio di pilotare appalti o si impossessa di denaro pubblico, spesso con la partecipazione di pubblici funzionari”. Di certo se tra pochi giorni si presentasse un decreto che mira a cambiare la legge “sarebbe un segnale negativo, un boomerang per le forze politiche che l’hanno approvata”, ha dichiarato Pietro Grasso, ex magistrato nel maxi processo contro Cosa nostra.
Al di sopra di qualsiasi ondata giustizialista, le misure di prevenzione previste dalla riforma del Codice antimafia verranno applicate “quando si tratta di un sistema corruttivo, quando c’è una rete e una reiterazione delle condotte”, ha rassicurato Grasso, in quanto “si tratta di bloccare i soldi che finiscono nei paradisi fiscali e poi non si trovano più”.
In definitiva, le misure di prevenzione (personali o patrimoniali) sono quelle misure che si applicano a prescindere dalla commissione di un reato, con il fine di evitare che lo stesso reato venga commesso da soggetti ritenuti, per l’appunto, socialmente pericolosi. Tra i reati riguardo ai quali le sezioni specializzate dei tribunali potranno mettere a punto delle misure di prevenzione ci sono inoltre lo stalking violento, il favoreggiamento della latitanza e le nuove forme di terrorismo compresi i foreign fighters. Il fulcro della polemica è comunque l’equiparazione dei reati di mafia a quelli più comuni contro la pubblica amministrazione, per cui diverse forze politiche auspicano un intervento in Aula del governo. Per il ministro della giustizia, Andrea Orlando, in virtù della riforma ci sono comunque “più strumenti per combattere la mafia, più trasparenza per i beni confiscati, più garanzie per le misure di prevenzione”. Prima di Montecitorio, il testo rinnovato del Codice antimafia aveva ottenuto il via libera di Palazzo Madama lo scorso 6 luglio con 129 voti favorevoli, 56 contrari e 30 astenuti.
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