Europa al bivio
Lo storico Loris Zanatta, professore dell’Università di Bologna, ha scritto di recente un bellissimo articolo sull’Europa, di cui condivido pienamente premesse e conclusioni. Egli rileva come i diffusi segnali di disamore verso l’integrazione e le istituzioni che la rappresentano, manifestatisi anche con il successo di movimenti di estrema destra in alcuni Paesi dell’Unione, sono largamente spiegabili per almeno due fattori: la crisi economica del 2008, che continua a far sentire le sue sequele, e la massiccia immigrazione extra-europea, con i connessi problemi di convivenza e di sicurezza.
Aggiungerei un terzo fattore: la maniera eccessivamente rigorista con cui le Autorità di Bruxelles concepiscono economia e finanze, spesso al di là della serietà nei bilanci che, ripetiamolo, pure é necessaria (i populismi in voga possono produrre solo disastri a medio o lungo termine). Ed anche una certa vocazione interventista che spinge le Autorità comunitarie ad ingerire anche in cose che sarebbero meglio affidate alla sussidiarietà.
Il professor Zanatta rileva che sarebbe molto strano se le varie ragioni non avessero prodotto conseguenze politiche, ma subito nota che, nonostante tutto, le istituzioni hanno continuato a funzionare e l’Europa, nel suo insieme “tiene”. Né in Austria, né in Francia o in Germania, hanno vinto gli antieuropei. La Brexit, a conti fatti, provoca danni soprattutto a chi se ne va, non a chi resta (e gli inglesi cominciano a mettere molta acqua nel vino, parlando ora di divorzio nel 2021, non più nel 2019 e assicurando di voler rimanere “parte dell’Europa” e di non voler uscire dal Mercato Comune (lo credo!). Anche il dramma della Catalogna non tocca veramente l’Europa, ma la Spagna. I catalani, come a suo tempo di scozzesi, hanno ripetutamente affermata la loro ferma volontà di rimanere nell’Unione. E da noi? Facendo il conto delle forze moderate e filoeuropee, compresa Forza Italia, l’Europa resta in vantaggio (i ripetuti proclami di Berlusconi di voler seguire il programma dei Popolari europei, fanno sperare che nel centro-destra non prevalga l’insensatezza salviniana).
Tutto bene, dunque? Certo che no. I segnali di disamore non vanno sottovalutati e non si può dover trattenere il respiro ad ogni elezione, anche in Paesi relativamente minori. Spetta ora ai principali Governi e ai responsabili di Bruxelles di rendersene conto e di scegliere una politica che allontani il pericolo e, invece, rafforzi l’integrazione. Come? Francamente – l’ho scritto più volte e lo penso sempre di più – la ricetta non credo consista in una specie di “fuga in avanti” istituzionale, che incontrerebbe resistenze forti e pericolose; e nemmeno in grandiose riforme (alcune però sono necessarie). Il cammino corretto sono convinto stia nel ridare all’Europa tutta la sua ragione di essere, facendone un fattore attivo e dinamico di progresso economico e sociale, che intervenga là dove è giusto farlo, cioè quando si tratta del vero interesse collettivo, rispettando i diritti e le singolarità dei Paesi membri. Più programmi di infrastrutture, più piani di sviluppo e di interscambio educativo e culturale, politica di immigrazione e sicurezza comune (e, aggiungo, finalmente restrittiva). Difesa solidale.
Nei migliori momenti del suo passato, l’integrazione europea è andata avanti per l’opera anticipatrice e visionaria di alcuni grandi statisti. Certo, ci piacerebbe che tornassero gli Adenauer, gli Schuman, i De Gasperi. Ora abbiamo Macron e la Merkel, mentre la Spagna entra nel labirinto della crisi e l’Italia non sa quale sarà il suo futuro. Speriamo che l’indispensabile duo franco-tedesco, di fronte al bivio che si presenta all’Europa, sappia scegliere la strada giusta.
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