Il dramma catalano
La tempesta catalana è scoppiata, almeno per il mondo esterno, quasi senza preavviso, ed è arduo prevedere come possa andare a finire. È stata invocata la mediazione dell’UE e a Bruxelles, ma anche nella principali capitali, si è adottata una posizione che, da un lato, chiede il rispetto della legalità costituzionale (quindi dà ragione a Madrid), dall’altra ripudia la violenza. Ma senza l’uso della forza, che altri strumenti di sostegno della legalità ha il Governo spagnolo?
E va bene: “dialogo”, “negoziato”, “soluzione politica” etc. Ma una soluzione di compromesso è possibile solo se una delle parti ha già deciso di cedere (e si tratta di vedere come), o meglio se da ambedue le parti si è disposti a rinunciare a qualcosa (succede anno dopo anno in Belgio). Almeno finora, non pare che le cose stiano così. Le posizioni delle due parti sono di una rigidezza che non sembra lasciare margini di accordo: gli indipendentisti catalani vogliono la separazione e l’indipendenza dalla Spagna, tutta e subito. Madrid non è disposta a prenderla in considerazione. Dove trovare un punto intermedio di accordo? Solo i politici di Barcellona potrebbero permetterlo, se rinunciassero al tutto e subito, ma dubito possano liberarsi della loro stessa retorica.
Può argomentarsi che il Governo spagnolo ha reagito con mano troppo pesante, ma che altro poteva fare per imporre il rispetto della Costituzione e della Legge? Certo, ha perduto la guerra d’immagine, perché lo spettacolo di dimostranti “pacifici” che vogliono esercitare il proprio diritto democratico di scelta, duramente repressi, i flash della Polizia che picchia, è sempre perdente. Ma non bisogna dimenticare che all’origine, il primo atto di violenza, il primo strappo alla legalità, lo hanno compiuto i politici o politicanti di Barcellona, che hanno irresponsabilmente cacciato la Catalogna e tutto il Paese in un labirinto da cui non si sa come uscire.
Il diritto all’autodeterminazione, che resta tra quelli basici della Comunità internazionale, esercita un forte richiamo, ed è stato ampiamente adottato nella ormai lontana fase della decolonizzazione. Ma si trattava di situazioni diverse, territori o popoli sottomessi all’occupazione straniera. La Catalogna è da sempre parte integrante della Spagna (per favore, non tiriamo fuori la politica “unitaria” dei Borbone poi di Franco, che sono acqua passata) e gode di larghe autonomie e ha poche ragioni di considerarsi oppressa. In tutta la provincia, si parla e si insegna liberamente il catalano, l’economia va bene, la Catalogna (seconda provincia per reddito, dopo Madrid) gode di tutti i vantaggi di far parte di un Paese medio-grande, che ha un certo peso nel mondo (in Europa e anche in America Latina). Forse paga più imposte di altre parti della Spagna, e riceve meno in contropartita, ma i problemi fiscali si possono risolvere con negoziati e buon senso.
L’autodeterminazione deve equilibrarsi con il principio dell’unità degli Stati e del rispetto della legalità. Altrimenti sfocerebbe in una miriade di situazioni assurde. Chi impedirebbe al Presidente di una Regione, o magari al Sindaco di un comune, in qualsiasi parte d’Europa, di proclamarsi indipendente? Veramente, in un mondo sempre più globalizzato, dove persino la dimensione nazionale è insufficiente, dobbiamo tornare al Medio Evo delle piccole patrie? Solo perché ad alcuni politici mestieranti attrae la possibilità di comandare senza controlli esterni? In nome di una volontà popolare alquanto dubbia?
Non si può attribuire al Referendum di domenica un valore realmente indicativo della volontà popolare. Una maggioranza di persone non ha votato (ne è stata impedita o non voleva farlo?) e non sono mancate manifestazioni di unionisti. Avrebbe comunque vinto il Sì? Forse, ma, se veramente la Catalogna dovesse imboccare il sentiero della separazione, come minimo occorrerebbe rifare il Referendum, garantendo a tutti la possibilità di votare. Vincerebbe lo stesso il Sì? Forse. Ma siamo lontanissimi da questo.
Per ora, è muro contro muro, con la prospettiva di una crisi dolorosa, imbarazzante per il resto d’Europa, e persino di una guerra civile in uno dei Paesi più antichi, civili e amati del mondo.
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