Raqqa, cade l’ultima roccaforte Isis in Siria
Capitola, dunque, Raqqa, considerata il fulcro dei presidi territoriali dell’Isis in Siria. Alla liberazione della città concorrono le forze siriane a maggioranza curda, affiancate dagli Usa e dalla Coalizione internazionale diretta da Washington.
E’ stato stretto un accordo per l’evacuazione degli ultimi jihadisti rimasti, avversato tuttavia da molti foreign fighters presenti sullo scenario di guerra e provenienti da Paesi Occidentali. Raqqa è stata stretta d’assedio sui fronti orientale, settentrionale e occidentale, lasciando a sud un corridoio che permetta ai miliziani del Califfato di rinunciare a difendersi e ritirarsi.
Daesh sta diventando uno Stato senza territorio, sebbene permangano ancora sacche di resistenza nei quartieri di alcune città liberate dall’occupazione e formazioni armate in aree sparse a macchia di leopardo in tutto il Medio Oriente.
Comincia a trasparire all’orizzonte il problema del dopo Isis, poiché è innegabile il fatto che la sua disgregazione lasci un vuoto enorme da gestire, in primis la delicata fase di definizione dei nuovi assetti geopolitici, nonché dei soggetti e dell’entità con cui questi parteciperanno alla ripartizione-sistemazione dell’intera regione. Da un lato, prospettiva che non piace nemmeno a Baghdad, cresce il timore di Erdogan che la vittoria conseguita dalle forze curdo-siriane del SDF (Syrian Democratic Forces) possa alimentare le aspettative secessionistiche della minoranza curda in Turchia circa la creazione di una propria grande nazione, sulla scia dell’intento di annessione al Kurdistan indipendente iracheno di nuovi territori, come le aree di Mankur e Khamaqin, e città, come quella di Kirkuk, dai dintorni ricchi di giacimenti petroliferi; dall’altro, aumentano i malumori della Russia pro-Assad di Putin, che contesta la mancata eliminazione dei terroristi e la decisione degli Usa di consentirne l’esfiltrazione. Raqqa, probabilmente, passerà – esautorando così la figura di Bashar al-Assad – sotto la giurisdizione di un Consiglio civile, organo tutelato dalla presenza in situ di oltre tremila soldati americani, che resteranno a lungo sul posto con funzioni di stabilizzazione e controllo del rispetto degli accordi di spartizione territoriale fra gli alleati.
Per la Siria, si delinea una suddivisione in quattro protettorati, in cui vigerà il cessate il fuoco tra forze governative e ribelli. In ogni protettorato, delimitato da linee di demarcazione dotate di check-point, presidiati – a seconda dell’area di competenza – da russi, iraniani e turchi, saranno istituiti corridoi umanitari per consentire il ritorno ai profughi. Ulteriori zone, oggetto di spartizione, sarebbero nelle nemmeno troppo velate mire degli alleati della Coalizione internazionale, come Francia, Gran Bretagna, Egitto, Arabia Saudita e Israele.
Non ultimo, secondo stime allarmanti dell’intelligence, si profila il rischio del progressivo rientro in Occidente e in Europa dei foreign fighters, pronti – insieme a cellule localmente residenti e lupi solitari – a vendicarsi e immolarsi, proseguendo la Jihad a casa nostra e confermando la nuova strategia adottata dall’Isis, da quando ha cominciato a perdere terreno in Medio Oriente: allargare un teatro di scontro di dimensioni regionalistiche a una guerra globale e asimmetrica fondata sul terrorismo internazionale. Da tale punto di vista, la concessione ai miliziani di ritirarsi in cambio della resa di Raqqa potrebbe rivelarsi un grossolano errore. Già in queste ore, per evitare tratte aeree che comporterebbero un loro tracciamento e l’identificazione, molti radicalizzati sono diretti in Nord Africa, allo scopo di confondersi con gli ingenti flussi di migranti economici e, purtroppo, anche delinquenti comuni, che entrano in Italia sfruttando le rotte mediterranee libiche e tunisine, per poi diramarsi e portare la minaccia jihadista in tutto il Vecchio Continente.
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