Cinque amici argentini
Era un gruppo di amici argentini. Si conoscevano dai tempi dell’Università, quest’anno festeggiavano il trentesimo anniversario della Laurea. Avevano avuto tutti più o meno successo nella vita, lavorando duramente. Avevano famiglia, figli, non si occupavano di politica e meno che mai di politica internazionale. Come luogo per festeggiare insieme l’anniversario, uno di loro (un imprenditore di successo) aveva proposto New York. In coincidenza con Halloween, e aveva generosamente contribuito alle spese di viaggio degli altri. Si disponevano a passare qualche giorno in allegria, facendo chissà quanti “selfie” da mandare poi alle famiglie restate a Buenos Aires. Avevano deciso di affittare delle biciclette e di percorrere la parte bassa di Manhattan, lungo una bellissima pista ciclabile.
Ma un criminale imbecille, venuto dal lontano Uzbekistan, quel giorno aveva deciso di uscire per strada e ammazzare quanti più cristiani poteva. E del gruppo degli argentini innocenti, cinque sono morti, uno è rimasto gravemente ferito. Cinque, forse sei, vite stroncate, sei famiglie gettate nel lutto e nella disperazione. Perché? Tra l’altro, l’Argentina non fa parte di nessuna coalizione anti-ISIS, è una terra di accoglienza pacifica di milioni di islamici. Perché? Che cosa ha fatto di male l’Occidente agli uzbechi? Perché? Ma non cerchiamo una razionalità impossibile. L’ho scritto più volte: questi attentati, oltre che criminali, sono i inutili, non serviranno certo a far cambiare la politica degli Stati Uniti o di altre grandi potenze, anzi, accentueranno il rancore e la volontà di combattere e distruggere il terrorismo islamico, come sta succedendo da ogni parte. Niente spiegazioni, niente giustificazioni, neppure paradossali. Puro odio, puro sfogo di odio bestiale.
Che sarà ora dell’attentatore? Trump vorrebbe mandarlo a Guantanamo. C’è da sperare che la giustizia sia rapida e inflessibile, un essere così non merita di rimanere in circolazione, né ora né tra vent’anni.
L’ISIS si è affrettato a rivendicare l’attentato, come se fosse un gesto di alto eroismo, mentre è solo un gesto di viltà. Questa volta pare che la rivendicazione sia fondata. Sconfitto sul terreno, perduta la base territoriale in Siria e in Irak, a questi mascalzoni resta il ricorso facile e vigliacco degli atti terroristi in Occidente. Contro questi, l’azione preventiva è difficile, ma non impossibile, come lo prova finora l’attività delle Autorità italiane). Occorre una vigilanza diffusa, attenta, senza remore. Al primo segnale di pericolo, bisogna intervenire. Espellere immediatamente gli elementi a rischio, come l’Imam di Lecco, controllare i traffici di materiale di propaganda, droghe, armi. Non dimentichiamo che, piaccia o no alla sinistra lacrimosa, il primo compito dello Stato è vegliare alla sicurezza dei cittadini.
Ma è anche ora che le comunità islamiche ospitate in Occidente si facciamo carico del problema. Troppo spesso queste comunità sono complici, almeno con il loro silenzio. Abbiamo, mi pare, il diritto di esigere che i tantissimi islamici pacifici, che vogliono continuare a vivere tra di noi, condannino il terrorismo, e isolino e denuncino i terroristi e comunque gli elementi radicalizzati. Non so perché i governi occidentali, a cominciare dal nostro, non prendono l’iniziativa per un patto solenne coi rappresentanti islamici, ponendo chiaramente l’alternativa. O siete con noi o contro di noi e, in questo caso, non c’è posto qui per voi.
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