Australia e California, alleanza per le Rinnovabili

L’Australia, fra i Paesi più ‘carbonici’ al mondo, sta passando rapidamente alle Rinnovabili anche grazie alla tecnologia della ‘verde’ California. Per gli Australiani, la transizione all’energia verde sta avvenendo non senza difficoltà, dovute alla velocità della transizione alle nuove fonti, e al complesso adeguamento della rete nazionale alla incostanza di alcune delle energie della Natura: problema, quest’ultimo, che però ha trovato una prima soluzione nel più grande impianto elettrico ‘a batterie’ del mondo. A realizzarlo è stata una ‘bandiera’ della California, l’innovativa Tesla guidata da Elon Musk, nota nel mondo per le sue auto – ad alte prestazioni sebbene completamente elettriche. Appassionato di sfide e già realizzatore di una centrale capace di alimentare quindicimila abitazioni della California, Musk aveva promesso di realizzare in Australia un impianto del doppio delle dimensioni: in soli cento giorni, altrimenti avrebbe donato la centrale, del valore di 50 milioni di dollari, all’amministrazione australiana. Ma è rientrato nei tempi. Ora la ‘grande batteria’ al litio, capace di 129 megawattora, modulerà l’energia prodotta a ritmo incostante dalle fonti rinnovabili del South Australia: alimentando trentamila abitazioni, ma anche la fiducia nella soluzione, in tutto il mondo, del principale problema ancora legato alle rinnovabili, quello della incostanza di produzione di energia da alcune fonti come il sole e il vento.

Con una superficie territoriale delle proporzioni di un continente, ma con una popolazione pari a meno di due terzi di quella della California, l’Australia – ispirata da modelli virtuosi come la stessa California – ha compreso che l’energia rinnovabile è diventata una realtà, e un business. Ma si è gettata nella transizione con l’ansia del ritardatario e l’entusiasmo del neofita: tanto che la sua rete nazionale, non ‘assistita’ da accumulatori in grado di immagazzinare energia nei momenti di maggiore produzione e reimmetterla in rete in quelli di minore produzione, ha presto risentito dei cali di tensione dovuti alla inconstanza di alcune delle fonti rinnovabili messe in produzione nel Paese. I continui blackout in South Australia hanno addirittura spinto intere comunità, come il villaggio di Huntley nella Hunter Valley a nord di Sindey, a staccarsi dalla rete e autoalimentarsi con rinnovabili ‘assistite’ da batterie domestiche. Di qui la corsa dei gestori alla messa in efficienza della rete, e la realizzazione del primo accumulatore da parte di Tesla, che supporterà la ‘farm’ eolica realizzata dalla francese Hornsdale a Jamestown. Un impianto ‘pioniere’ al quale, per le esigenze della rete nazionale, l’Australia dovrà affiancarne altri.

La notizia ha fatto il giro del mondo. Non senza suscitare polemiche: perché la fabbricazione dei componenti principali, le batterie vere e proprie, non sarebbe a impatto zero dato che richiede enormi quantità di energia. Un argomento caro ai detrattori delle Rinnovabili, ai quali però si può rispondere: se realizzare batterie sia ad alto impatto oppure no, dipende da quale energia si usa per produrle. L’operazione sarebbe ad alto impatto in un Paese ancora dipendente da carbone e petrolio per più della metà della sua produzione come l’Australia: ma lo è molto meno in un Paese come la California, che si è dotata di un mix energetico fra i meno ‘carbonici’ al mondo, nel quale petrolio e carbone producono poco più dell’1% dell’energia del Paese. E’ evidente che, col passar del tempo e l’aumento dell’energia prodotta con le fonti rinnovabili, ogni Paese può giungere a fabbricare in maniera ecologica i suoi stessi impianti, anche riciclando batterie ed altri componenti già utilizzati nelle sue centrali. E’ altrettanto evidente che le emissioni risparmiate con i nuovi impianti compenserebbero quelle prodotte per realizzarli: bilanci questi i cui numeri dipendono dai sistemi-Paese realizzatori, tanto meno inquinanti e meno economicamente gravanti per la produzione di impianti rinnovabili quanto più di grandi dimensioni, come l’Unione Europea, gli Usa e la Cina.

Quella della collaborazione sulle Rinnovabili fra l’Australia e la California è un bel capitolo della rivoluzione energetica che il mondo sta realizzando sotto i nostri occhi: un’opera che rinnova la centralità simbolica del Pacifico, già ‘ponte’, prima della collaborazione California-Australia, della ‘intesa’ tra California e Cina al tempo della Cop21 di Parigi. E’ nel Pacifico che si trovano tanto gli arcipelaghi corallini – a rischio di sommersione per l’aumento del livello del mare legato ai cambiamenti climatici – quanto modelli-Paese virtuosi, come la stessa California, il Costarica, il Nicaragua, l’australiano stato della Tasmania, l’arcipelago Tokelau in Nuova Zelanda, le Samoa che hanno puntato sul solare, e le Fiji, alimentate dall’idroelettrico che sfrutta le maree. Mentre una parte dell’opinione mondiale guarda indietro alla vecchia economia, al carbone e al petrolio, un’altra parte guarda avanti all’energia pulita e infinita. Nella ‘rivoluzione dell’immaginario’ che è in atto nell’economia ed è legata alla soluzione dei problemi climatici e alla transizione alle fonti rinnovabili, la California della Sylicon Valley e dei governatori ‘green’ – tanto i democratici come Brown quanto i repubblicani come il predecessore Schwarzenegger – è uno dei punti di riferimento mondiali. I suoi governi legiferano, i suoi ricercatori analizzano e sperimentano, i suoi innovatori accumulano brevetti, le sue imprese investono  e la sua amministrazione statale formula commesse in grado di realizzare impianti, reti e sistemi che costituiscono modelli ed esempi pratici ai quali i governi di tutto il mondo possono guardare. Tanto che si può dire che il ‘valore’ maggiore prodotto dalle politiche californiane non è quello tecnologico, non è quello economico, e non è neanche quello ambientale, dovuto alla riduzione delle emissioni inquinanti che il sistema produce: il valore maggiore espresso dalla California è ancor più alto, è l’esempio che, soprattutto nei confronti della psicologia pragmatica del mondo anglosassone – ma anche di quello della Cina -il modello californiano riesce ad esprimere. Dentro la ‘strategia’ verso i governi e le imprese adottata con la Cop21 di Parigi, che ha sostituito la fiducia nella green economy alle sanzioni verso coloro che inquinano, l’esempio californiano è un formidabile detonatore. Un propulsore che può portare alla previsione dell’università di Stanford, che in uno studio pubblicato in questo 2017 ha previsto che entro il 2050 139 Paesi saranno ‘100% Rinnovabili’. Ma non è escluso che la transizione alla nuova energia, trascinata dalla ‘rivoluzione verde’ in atto nell’economia, possa registrare risultati ancor più positivi.

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