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Cyberbullismo e responsabilità delle famiglie – In tema di reati informatici non esistono solo le truffe on line, li hacker, i furti di identità, spamming e attacchi mediante invio di virus. Un normale cellulare che oggi chiunque ha in tasca o nella borsetta, e il web, vengono quotidianamente utilizzati per commettere i normali e più tradizionali reati previsti dal nostro codice penale che risale a un’epoca in cui avere il telefono in casa, e molti non avevano neppure l’acqua corrente, non era cosa da tutti. Ciò dovrebbe far meditare sullo spessore e la lungimiranza dei giuristi che concepirono norme che ancora oggi possono trovare applicazione, ed ecco che una diffamazione, un’ingiuria, o minacce, possono essere puniti anche se commessi on line. È del resto intuitivo come gli spazi virtuali della rete abbiano perlomeno raddoppiato gli spazi di incontro, le occasioni di interazione e, conseguentemente, di scontro. Con i social network e i gruppi Whatsapp si è forse raggiunto l’apice.

Inizia ad essere cospicuo il numero di casi nei tribunali e di sentenze per queste ipotesi. In molti, confidando in un ormai sempre meno garantito, e forse inesistente, anonimato, usano gli strumenti messi a disposizione dal web per sfogarsi contro tutto e tutti, nella certezza dell’impunità. Gli spazi virtuali offrono l’imperdibile occasione di avere l’ultima parola fino allo stremo: lanciare un sasso e fuggire senza attendere la risposta altrui.

Tra gli spazi ideali per la commissione di reati on line emerge l’ambiente dei giovani, in particolare quello scolastico; luogo ideale per il cyberbullismo, termine peraltro generico e fuorviante. Non esiste infatti una fattispecie di reato autonoma e in questo neologismo rientrano tutti quei comportamenti previsti da specifiche norme che, di volta in volta, possono trovare applicazione fino a sfociare anche in ipotesi estreme. Basti riportare alla mente il caso della ragazzina italiana suicida perché un suo video a sfondo sessuale era stato postato in rete e scambiato sui cellulari degli amici. O la diciottenne che in Texas si tolse la vita perché continuamente insultata per il suo peso, anche mediante la creazione di falsi account Facebook.

Istigazione al suicidio o morte come conseguenza di altro reato, sono già previsti nel codice. Ma siamo così lontani da ipotizzare che un costante e martellante invio di messaggi e offese non siano i primi passi verso un omicidio? Basti pensare a chi dalle proprie pagine augura la morte per chi osa pensarla diversamente o avere uno stile di vita difforme dai propri standard. Non esistono del resto siti che incitano a compiere attentati e uccidere? Non ci possiamo rendere conto quanti, e quali forme, possano avere atteggiamenti e comportamenti finalizzati ad offendere, spaventare, umiliare la vittima e farle cambiare abitudini tramite i mezzi elettronici, e quali sia oggi la loro portata: e-mail, messaggeria istantanea, blog, siti web.

La responsabilità penale è personale e l’autore di un reato ne risponderà nella più opportuna sede. Ma a volte passa in second’ordine che ogni reato permette alla vittima di costituirsi parte civile nel giudizio penale, o più opportunamente richiedere i danni in un procedimento civile. Inoltre, nell’ipotesi di reati commessi nell’ambito scolastico, ricordiamo che esiste una norma secondo la quale sono i genitori a rispondere dei danni commessi dai propri figli. L’articolo 2048 del codice civile, stabilisce la responsabilità dei genitori per il risarcimento dei danni cagionati dai figli, salvo che non diano una rigorosa prova di non aver potuto impedire il fatto. Ergo, laddove la vittima di cyberbullismo e la sua famiglia decidessero di richiedere i danni per il comportamento illecito altrui, i genitori del colpevole si troverebbero ad essere toccati direttamente sul piano economico. Questa norma si estende anche alle scuole e, di conseguenza, se i comportamenti di cyberbullismo, oltre quelli non meno gravi, di bullismo, fossero posti in essere durante l’orario delle lezioni, anche la scuola sarà tenuta a risponderne in sede civile.

Prescindendo però da questi rilievi di carattere generale, appaiono necessarie alcune riflessioni che, necessariamente, dovrà porsi il legislatore. È innegabile che l’attuale normativa non sia adeguata e, in ogni caso, considerata la gravità dei comportamenti che configurano cyberbullismo e le loro conseguenze sulle vittime, pare quantomeno opportuna una rivisitazione della legge, anche in termine sanzionatorio. In tal senso appare decisamente inopportuna la norma che ha stabilito l’estinzione del reato di stalking a fronte di un risarcimento sulla cui congruità ha potere totalmente discrezionale il Giudice e, in tal senso, la sua abolizione è quantomeno opportuna.

Quando il codice Rocco entrò in vigore, si era ben lontani dall’immaginare le possibili conseguenze della circolazione delle auto, e la necessità di aver dovuto creare la figura di reato dell’omicidio stradale è sintomatica in tal senso, pur essendo già all’epoca previste specifiche aggravanti nell’ipotesi di omicidio per inosservanza di norme sulla circolazione. Nel 1930 il computer non esisteva e per i telefoni non erano neppure ipotizzate, se non in una remota fantascienza, le funzioni e gli sviluppi che hanno avuto. Viste le conseguenze una normativa specifica appare indispensabile e urgente.

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