Camera di Consiglio
Abrogata la possibilità di estinzione del reato di stalking mediante condotta riparatoria – Con un provvedimento a dir poco opportuno, è stata eliminata la possibilità che avevano gli autori di stalking di ottenere una sentenza di estinzione del reato, addirittura più di un’assoluzione, con il versamento di una somma di denaro.
Con una semplice integrazione alla pur recente introduzione di questo sistema riparatorio, è stato espressamente previsto che gli autori di un reato dai contorni quasi sempre estremi e dalle conseguenze devastanti per chi lo subisce, non possano avvalersi della possibilità di versare una somma in favore della vittima. Questo repentino dietrofront normativo trova verosimilmente una spiegazione non solo nella natura stessa di un reato grave e che, purtroppo spesso, può sfociare in ancor più inquietanti episodi di violenza, ma anche nell’uso disinvolto che ne è stato fatto nelle aule.
L’errore di base del legislatore, non è stato tanto quello di permettere all’autore di un reato di offrire una forma di ristoro alla vittima, bensì quello di lasciare piena discrezionalità, sfociante nel più assoluto arbitrio, al giudice penale sulla congruità dell’offerta. Conseguenza aberrante di questa norma, il caso di un giudice a Torino che ha ritenuto la somma di € 1.500,00 congrua e sufficiente per risarcire tutti i danni patiti dal comportamento del proprio persecutore. Con una sentenza che ha sollevato non poche polemiche e una motivazione semplicemente inesistente, il GUP ha dichiarato l’estinzione del reato. Casi analoghi anche a Roma.
Applicata in maniera ineccepibile la normativa che, peraltro, ha posto in evidenza un’altra grave lacuna, vale a dire la possibilità per il giudice di decidere addirittura prima dell’apertura dell’udienza, impedendo così alla persona offesa potersi costituire parte civile e poter interloquire e portare, ad esempio, certificazioni mediche o altri elementi che permettessero una più corretta forma di valutazione del danno.
Finalmente eliminata questa stortura, sembra necessario spostare l’attenzione su una circostanza preoccupante relativa all’amministrazione della giustizia. Si deve rilevare infatti che nella maggior parte dei casi in cui viene emessa sentenza di condanna, il giudice penale demandi la quantificazione del risarcimento del danno subito dalla vittima a separata sede. Vale a dire quella civile. Ergo, chi ha condotto il dibattimento penale, ne conosce tutti gli elementi ed ha ascoltato i testimoni, pur avendone la possibilità, evita di decidere sulla misura del danno, obbligando la persona offesa non solo ad attendere i tempi di un possibile appello e il rischio della prescrizione, ma anche ad instaurare una lunga e verosimilmente onerosa causa civile. Viceversa nei casi di stalking, con zelo inappuntabile, ma senza alcuna motivazione, i giudicanti penali hanno valutato la congruità di un’offerta che, nel caso di Torino, ma anche altri, era decisamente irrisoria.
Eliminato comunque dal legislatore il problema relativamente allo stalking, viene da riflettere sull’operato della magistratura e sull’opportunità che, a fronte di una parte civile costituita, e conoscendo i tempi notoriamente non brevi della nostra giustizia, possa essere adeguatamente rafforzata la tutela delle ragioni delle vittime nei giudizi penali. Un minimo sforzo in tal senso da parte dei giudici, magari opportunamente sollecitati dal legislatore, potrebbe non solo andare a favore delle vittime, ma anche non gravare i tribunali civili.
Una proposta che potrebbe essere considerata? Permettere al magistrato penale, nelle sentenze di condanna, di stabilire una somma a titolo di danno in favore della vittima ancorché non costituita parte civile.
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