Schiarita tra Israele e Francia
A Gerusalemme, François Hollande ha trovato il tono giusto. Adottando una linea ferma sul nucleare iraniano, Parigi ha aperto una breccia nel processo di Pace tra Israeliani e Palestinesi scalzando, apparentemente, gli Stati Uniti.
Per tradizione e per il suo modo unico di intrecciare sensibilità e diplomazia, le relazioni tra Francia e Israele rivestono un’importanza particolare. Queste, eminentemente delicate, si dividono in tre componenti. La prima deriva dalla personalità del Presidente in carica, che gioca molto sulla qualità del legame tra i due Paesi; la seconda segue la linea di forza della politica estera francese, piuttosto costante, ma di fatto bloccata dai molteplici ostacoli che incontra il processo di Pace tra Israeliani e Palestinesi; la terza riguarda direttamente il contesto regionale, questa volta imprevedibile. Dalla declinazione di queste tre dimensioni dipende tutta la forza della posizione francese in un Paese dove, nonostante la presenza di una importante comunità francese, Parigi non ha un peso significativo. Dopo la visita di François Hollande in Israele, la terza considerazione si afferma promettente per la diplomazia francese. Per quanto riguarda il fattore presidenziale, Hollande ha saputo cogliere l’intonazione giusta in Israele, come a Ramallah. Il compito non era facile. Dal 1982, il discorso di François Mitterand alla Knesset è rimasto nella storia della diplomazia francese e senza eguali. Molto diversi furono i toni usati da Jaques Chirac, in collera e offeso per la pressione dei servizi di sicurezza israeliani, nel suo celebre “What do you want…”.
Quanto a Nicolas Sarkozy, il cui attaccamento granitico a Israele è sempre stato fuori dubbio, ma aveva comunque suscitato in seno alla Knesset dei sentimenti contrastanti, nel giugno del 2008, soprattutto dopo aver dichiarato: “non può esserci Pace senza l’arresto totale e immediato della colonizzazione (…) senza che venga risolto il problema dei rifugiati Palestinesi (…) senza il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dei due Stati.” Questi sono in effetti i punti fondamentali della diplomazia francese per ciò che concerne il regolamento del conflitto Isreaelo-Palestinese – ma anche quelli che difende l’Unione Europea. Ora questi principi si scontrano con il loro rifiuto da parte della classe politica israeliana, così come il riconoscimento di Israele come Stato-Nazione di un popolo ebreo non viene contemplato dalla controparte Palestinese. Un’impasse che Martin Indyk, emissario americano inviato sul campo da Barack Obama, riassume con queste parole: “Il massimo di concessioni che il Governo di Israele sarebbe pronto a fare è molto lontano dalle condizioni minime richieste per uno Stato Palestinese, sulle quali insiste Abu Mazen (nome di battaglia del Presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmud Abbas). In effetti, per ora François Hollande non ha potuto che ricordare, da una parte e dall’altra, la problematica più che la soluzione.
Per contro, adottando una linea dura sul dossier del nucleare iraniano, Parigi ha aperto una breccia interessante, che è valsa a Hollande un mare di lodi da parte di Gerusalemme. La fermezza dimostrata da Laurent Fabius a Ginevra rivela un asse strategico e rappresenta la leva suscettibile di rendere più influente la Francia. Mentre i negoziati Israelo-Palestinesi continuano a cozzare sull’aggrovigliata questione di una linea di divisione territoriale in Cisgiordania, l’intero Medio Oriente è in subbuglio. E qui entra in gioco l’Iran. Alla sua frontiera Nord, Israele si trova in contatto diretto con gli Hezbollah libanesi, sostenuti da Teheran, e, a 50 chilometri più ad Est, Tsahal fronteggia Al Qaeda, che combatte le forze governative siriane (appoggiate dallo stesso regime iraniano) ai piedi del Golan, nei pressi di Quneitra. Israele ha visto scomparire l’ostilità immobile, che prevalse tra il 1973 e le rivolte arabe del 2011. Alcuni osservatori rivelano che un progresso nel processo d Pace Isreaelo-Paestinese appare ormai come unico mezzo per delegittimare in seno al Mondo Arabo il discorso anti-israeliano dell’Iran.
Se l’Europa vuole giocare un ruolo più grande nel processo di Pace, la sua priorità potrebbe essere quella di guadagnarsi la fiducia delle elite israeliane. Impedire che l’Iran si doti dell’arma nucleare è il mezzo più sicuro per riuscirci. In questo momento però sembra che la Francia voglia smarcarsi da sola. La sua politica araba ha cessato di esistere nel 2007, quando la diplomazia francese ha deciso di intraprendere una linea dura con l’Iran e i suoi progetti nucleari. Prima di allora la priorità era data ai Paesi del Medio oriente che compravano francese e ottenevano in cambio una limitazione dei legami tra Parigi e Israele. Oggi assistiamo ad un riequilibrio della diplomazia francese in favore dello Stato Ebraico, aiutato dall’implosione del Mondo Arabo e soprattutto dall’attrazione che rappresenta Israele nel suo settore tecnologico, oggi definito come “Paese delle start up”. Hollande è da sempre un adepto della “diplomazia economica” e in perpetua ricerca di crescita e impieghi.
Nonostante le ultime divergenze, gli osservatori pensano che un compromesso si troverà sul dossier nucleare iraniano (malgrado la conclusione negativa degli ultimi colloqui svolti a Ginevra questa settimana). Americani e Iraniani sperano trovare un terreno di intesa. Perché allora la Francia ha preso una posizione così irremovibile con il rischio di trovarsi isolata? “A volte è meglio essere da soli su di una buona posizione, che in molti su di una cattiva”, ha spiegato Domenica scorsa François Hollande all’aeroporto Ben Gurion. L’abnegazione francese sembra aver pagato bene, almeno per ora.
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