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ASSOCIAZIONE A DELINQUERE SEMPLICE E DI STAMPO MAFIOSO: IL CASO OSTIA Il recente episodio di Ostia del giornalista aggredito dal presunto appartenente ad un clan, in seguito arrestato contestandogli l’agire tipico delle associazioni di stampo mafioso, impone non solo valutazioni di natura strettamente giuridica, ma anche sociali su come un fenomeno che si immaginava limitato a determinate realtà geografiche si sia espanso e di come possa essere combattuto.

L’associazione a delinquere è prevista dal codice penale, (art. 416): solo per la partecipazione ad un sodalizio formato da almeno tre persone, finalizzato alla commissione di più delitti, è prevista una pena da tre a sette anni di reclusione. E’ un reato inserito tra i delitti contro l’ordine pubblico, considerato per sua estrinseca natura atto offensivo nei confronti della collettività, minacciata dall’esistenza di una struttura criminale pronta a colpire. I reati commessi dagli associati vengono puntiti sulla base della fattispecie che li prevede. L’articolo 416  con il tempo, ha subìto le opportune integrazioni prevedendo aggravamenti se scopo dell’associazione fosse quello di commettere reati quali traffico di schiavi o pedopornografia.

La figura dell’associazione mafiosa, articolo 416 bis codice penale, risale al 1982 quando, con la legge Rognoni-La Torre, a seguito del clamore dell’assassinio del Generale Dalla Chiesa, in pochissimo tempo venne tipizzata una specifica figura di reato volta ad arginare un fenomeno preoccupante e la cui portata si stava estendendo con grave allarme sociale. Sono così individuati i tratti di una associazione criminale che basa il vincolo dei propri membri su caratteristiche che vanno oltre lo scopo di commettere quali, tra gli altri, le modalità e gli strumenti base dell’associazione stessa, come la forza di aggregazione del vincolo tra gli associati quale elemento di carattere intimidatorio, e lo stato di assoggettamento delle vittime, messe in condizione di menomata difesa, intendendo con questo anche la possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria, proprio a causa della pericolosità intrinseca degli individui da affrontare: individualmente pericolosi e, una volta associati tra loro ancora più nocivi per singoli e collettività.

L’articolo 416 bis ha esteso la propria portata alle altre organizzazioni criminali italiane, mafia e camorra, ma anche a quelle di origine estera e, oggi, ad altri contesti territoriali che, pur non essendo quelli che hanno visto la genesi del fenomeno mafioso, ne sono stati contaminati mediante infiltrazioni o con l’utilizzazione del sistema mafioso, magari anche per emulazione, fatto non solo di espliciti atti e modalità esecutive dei reati, ma anche con comportamenti passivi o di vera natura omissiva quali il silenzio nella sua forma di massima valenza mafiosa dell’omertà. Per capirla si potrebbero rileggere le pagine di Mario Puzo dove, da Il Padrino in poi, viene offerto un chiaro quadro di che cosa sia il fenomeno mafioso e come possa svilupparsi anche da circostanze particolari se inserite in un contesto in cui possano affondare le radici. Vale per tutti l’episodio in cui il giovane Vito Corleone commette il suo primo omicidio con il conseguente aumento del suo rispetto da parte della comunità.

Nell’attuale complessivo contesto l’episodio di Ostia, per il quale non è detto possano resistere al vaglio di un dibattimento le argomentazioni utilizzate in questa fase cautelare per sostenere l’esistenza di un metodo mafioso che lega l’aggressore ad un clan, pone vari interrogativi Il primo è ovviamente a livello investigativo ma, in seguito, dovrà essere affrontato per la determinazione di una specifica responsabilità penale, con onere della prova a carico della Procura, e l’applicazione della pena, non soltanto per il singolo episodio, ma anche per il successivo evolversi della vicenda e la soluzione del problema criminalità organizzata mediante il sistema mafioso, in territori dove una classica associazione di tale tipo, basata anche sul vincolo familiare, non ha il suo habitat naturale.

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