Camera di Consiglio

USO SCONSIDERATO DELLA GIUSTIZIA – L’articolo 24 della Costituzione è chiaro: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”. Questo concetto, purtroppo è interpretato in maniera troppo elastica da molti e, non possiamo negarlo, è ancora comune imbatterci in cause fatta per “questione di principio”. Un buon avvocato dovrebbe già sconsigliare i propri clienti in tal senso e il legislatore ha messo a disposizione dei cittadini, prima di intentare una causa, strumenti di composizione delle liti che, peraltro non brillano né per efficacia né per modalità.

In ogni caso il buon senso e la ragionevolezza dovrebbero essere sufficienti elementi per scoraggiare ad intentare liti per futili motivi o per ragioni chiaramente pretestuose. E sul punto è stata scomodata anche la Corte di Cassazione che, già da tempo si è espressa sul punto. Già nel 2007, addirittura le Sezioni Unite, avevano sancito come configurasse abuso del processo la frammentazione di un credito sostanzialmente unico in più azioni reiterate nel tempo. I principi di correttezza e buona fede che disciplinano un rapporto tra individui, devono essere quindi applicati anche alla vicenda giudiziaria che trova, oltretutto, un limite anche nella ragionevole durata del processo. Anche in tal senso la Cassazione si è pronunciata rilevando che, laddove una causa sia di interesse esclusivamente patrimoniale e non retta da altre ragioni non può ricevere tutela giuridica se l’entità del valore economico è oggettivamente minima e quindi tale da giustificare il giudizio di irrilevanza giuridica dell’interesse stesso. Ergo non sono ammesse cause per cifre irrisorie. Una buona notizia per chi non ha pagato bollette minime, ma ciò non scoraggia comunque qualcuno dall’intentare cause con richieste che hanno ben poche speranze di essere accolte.

Ultimo caso che è giunto fino al vaglio degli ermellini è quello della richiesta di danno derivante da una ritenuta estenuante situazione di disagio e di ansia” causata “dal dubbio di aver perso una telefonata importante in arrivo sull’utenza di casa e determinata dalle disfunzioni presenti sulla propria linea telefonica”. Un signore a cui era mancata per alcuni giorni l’utenza telefonica si era rivolto alla Magistratura per vedersi riconoscere un danno esistenziale. Una causa iniziata nel 2008 e che si è conclusa lo scorso novembre in cui la Cassazione ha ribadito che deve escludersi che il danno cd. esistenziale rimanga integrato non già in presenza di uno “sconvolgimento esistenziale” bensì del mero “sconvolgimento dell’agenda” o nella mera perdita delle “abitudini e dei riti propri della quotidianità della vita”, e in particolare da meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress o violazioni del diritto alla tranquillità. Purtroppo un altro dei già non pochi casi in cui, cercando interpretazioni estensive delle norme, frutto anche di molta disinformazione, siamo andati a gravare il carico della nostra già appesantita macchina della Giustizia.

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