Francesco e la sua Argentina

Quando fu eletto Papa, Jorge Bergoglio sollevò un’ondata di speranze e di aspettative in tutto il popolo cristiano, molto al di là anche dell’America Latina da cui proviene. Era chiara l’aspettativa di un profondo rinnovamento della Chiesa, soprattutto negli aspetti teologici, si sperava una specie di grande abbraccio al mondo, un’apertura alla realtà moderna, un ritrovamento delle vere e profonde radici del Vangelo.

In nessun Paese, naturalmente, l’entusiasmo era maggiore che in Argentina, da cui Papa Francesco proviene. Il suo passato come Arcivescovo di Buenos Aires lo indicava come un lottatore coraggioso contro le ingiustizie, la corruzione, le disparità sociali.

A quasi cinque anni dalla sua elezione, è lecito chiedersi qual è il bilancio della sua opera. In Argentina, il dibattito su questo punto è particolarmente vivo e spesso conflittivo. Intellettuali di grande prestigio, come Juan José Sebreli e Loris Zanatta (quest’ultimo insegna all’Università di Bologna) hanno preso nei confronti del Pontefice una posizione duramente critica. Osservano che nessuna vera apertura è venuta sul piano teologico, malgrado parole e talvolta gesti che erano parsi promettenti. In cambio, è apparsa nettamente in luce la dimensione politica dell’azione del Papa, ispirata a quello che viene ritenuto un suo radicato populismo, certo di marca cattolica ma pur sempre populismo.

Alcune critiche fanno eco a quelle diffuse in Europa per la posizione di indiscriminata apertura promossa da Bergoglio in materia di immigrazione, sconoscendo i problemi seri e reali che essa provoca. Dal punto di vista più strettamente argentino, al Papa vengono rimproverati i rapporti frequenti e affettuosi che intrattiene con rappresentanti di sindacati e di organismi sociali molto discussi, perseguiti dalla Giustizia per cause di corruzione o estorsione, o uso della violenza, e per lo più legati all’ex Presidente Cristina Kirchner, verso la quale il Papa ha mostrato in passato grande considerazione, ricevendola ben cinque volte, mentre “batte freddo” all’attuale Presidente, Maurizio Macri, che rappresenta la destra moderata. Ciò, nel quadro del suo passato di peronista di sinistra. Critiche non tutte ingiuste, ma mosse da rancori politici locali.

A più alto livello, lo si accusa (come fa Zanatta) di avere una concezione retrograda, quasi medievale, del “popolo di Dio”, come superiore e più vero di quello che si esprime attraverso le istituzioni democratiche. Lo si accusa di “guardare ai poveri” come al vero popolo di Dio, ignorando classe media e classi produttive, che pure determinano la prosperità dei Paesi e della società. Non é infatti dubbio che Bergoglio abbia una visione assistenzialista dell’economia, dimenticando che la povertà si vince non coi sussidi generalizzati ma col progresso economico, generato dal capitalismo e dall’economia di mercato, che amplia le possibilità di un lavoro degno. In effetti, se si leggono le tante dichiarazioni del Papa, non è difficile constatare che il suo principale nemico appaiono essere il consumismo e l’economia di mercato con la sua logica del profitto, logica che la Chiesa di Francesco non ammette (niente di nuovo: la Chiesa medievale condannava gli interessi sui prestiti, definiti usura, ignorando così le basi su cui si fonda e si sviluppa storicamente l’economia moderna).

Una speciale ragione di scontento per gli argentini è data dal fatto che il Pontefice non abbia trovato modo di visitare in cinque anni il suo Paese di origine, pur essendo stato in molti paesi limitrofi. Ad aggravare la cosa, c’è la circostanza che vari “amici del Papa” (o presunti tali) attribuiscono questa mancata visita al suo scontento per l’attuale governo, pur eletto democraticamente e confermato anche di recente nelle elezioni legislative di mezzo termine. Interpretazioni che vengono smentite dai portavoce delle gerarchie cattoliche. Ma le smentite, così come le difese d’ufficio di alcuni giornalisti vicini al Pontefice, non suonano del tutto  convincenti. Non affrontano infatti il tema di fondo, non spiegano quale sia la posizione di un Papa che riceve i vari Maduro ma snobba Macri, ma si limitano a dichiarare che nessuno è autorizzato a parlare a nome del Papa come ad interpretarne il pensiero e accusando di tendenziosità chi cerca di utilizzarlo nelle beghe politiche locali.

Nemo propheta in patria? Forse, ma non si può negare che al fondo del pensiero di Francesco vi sia una visione del mondo antitetica al pensiero liberale e affine a quella della sinistra dei centri sociali, a cui tuttavia la oppone la concezione religiosa dell’esistenza. Sono, certo, due populismi diversi, che possono magari farsi concorrenza per la conquista del “popolo”, ma possono anche convergere nella pratica su vari temi concreti. In fondo, la concezione del popolo come di un gregge da guidare e assistere, non di un insieme di teste pensanti col diritto di perseguire il proprio cammino individuale (visione tipica del Protestantesimo, del Capitalismo da lui generato e in definitiva della Democrazia), è la stessa.

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