Educazione Civica tra teoria e pratica
Il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli ha recentemente parlato della reintroduzione dell’Educazione Civica tra le materie di insegnamento a scuola. C’è da augurarselo ma alzi la mano chi realmente ha svolto in classe quelle due ore al mese introdotte dall’allora ministro della Pubblica Istruzione Aldo Moro nel 1958 (e ci si permetta di dire che di Moro sembra si sia dimenticato che era un giurista di altissimo valore), o abbia seguito i corsi di insegnamento che l’hanno sostituita come si apprende da una rapida lettura in internet. Le cronache riferiscono che dall’anno scolastico 2010/2011 si sarebbe passati al nome Cittadinanza e costituzione, che comprende cinque argomenti: educazione ambientale, educazione stradale, educazione sanitaria, educazione alimentare, Costituzione italiana (con due ore mensili affidate al professore di storia). Chi ha notizia di un effettivo svolgimento di queste lezioni è pregato di darne notizia.
La proposta di inserire perlomeno dalle scuole medie l’insegnamento dei principi di base dell’ordinamento civico, della democrazia e portare a conoscenza dei giovani le conseguenze di condotte sbagliate, può essere non soltanto utile, ma anche un segno importante verso i ragazzi. Le cronache parlano fin troppo di bullismo, cyberbullismo, baby gang, aggressioni anche a docenti e non solo e gli episodi riferiti sono sempre più gravi.
In questo contesto la proposta di dedicare almeno due ore a settimana all’insegnamento delle regole di base della civile convivenza appare una scelta decisamente opportuna. E non ci vorremmo riferire agli aspetti più evidenti quali violenza, omofobia, razzismo, ma anche alle più normali forme di rispetto del convivere civile quali, solo per fare un banale esempio, le scritte sui muri da chi si arroga il diritto di definirsi artista o vuole mandare messaggi quando già dispone di WhatsApp.
È tuttavia necessario stabilire il concetto di educazione civica, che non deve essere solo l’oggetto di lezioni e discussioni nelle aule. Limitarsi infatti ad una sterile esposizione delle forme di governo, dei rapporti tra Stati o una pedissequa elencazione dei diritti dei cittadini, tralasciando i doveri, è inutile. Sarebbe decisamente meglio focalizzarsi sui comportamenti che ledono la sfera altrui e sulle ripercussioni per gli autori. Ma anche l’educazione ambientale potrebbe rappresentare un passo avanti importante purché non si limiti a un panegirico della natura e non vada a toccare il rispetto dei beni comuni e dell’ambiente cittadino., ovvero sia basata su scelte estreme che portino avanti solo la protezione di animali e ambiente sulla base di scelte ideologiche da imporre agli altri.
Anche nozioni del codice della strada potrebbero avere una loro utilità, ricordando che sono applicabili anche alle biciclette e, forse forzando un po’, a pattini e skateboard.
Ma perché non lanciare una proposta ai limiti del rivoluzionario e prendere esempio dal Giappone dove studenti e docenti sono responsabili della pulizia delle loro aule? Dalle informazioni in rete sembra che sia in uso anche negli Stati Uniti in scuole senza bidelli. Si chiama responsabilizzazione e non sembra una pessima idea chiedere agli studenti di prendersi cura di sé stessi e dello spazio in cui svolgono le loro attività.
Inevitabili le reazioni, e si solleverebbe un polverone di obiezioni: dagli insegnanti che non hanno le pulizie nel contratto di lavoro o il controllo sugli alunni che le dovessero fare; poi i bidelli a cui verrebbero depauperate le mansioni fino a un numero (spero esiguo ma non credo) di genitori i cui figli sono a scuola per imparare e non certo per lavorare. Critiche legittime, ma che dovrebbero essere valutate in un contesto che oggi richiede una maggiore partecipazione e consapevolezza, diversa rispetto al passato.
Anche nell’esperienza di Barbiana, nelle classi di Don Milani erano gli studenti ad occuparsi delle pulizie, quando venne creato il motto, già in inglese, “I care (mi sta a cuore)”, contrapposto ad un “me ne frego” che echeggiava ancora nell’aria.
Nell’augurarsi quindi che la materia torni oggetto di insegnamento reale e concreto, viene voglia di citare Gandhi: “Se, invece di insistere sui diritti, ognuno facesse il proprio dovere, l’ordine regnerebbe tra l’umanità”.
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