Baruffe a Destra
La Sinistra ci ha abituati alla litigiosità permanente, ma anche la Destra non scherza. Berlusconi e Salvini si sono alleati per vincere le elezioni, ma sono in disaccordo su punti decisivi per la condotta di un futuro governo. Vediamoli. Berlusconi ha dato ampie assicurazioni di europeismo e si è vantato di avere l’appoggio della Merkel: a Salvini Europa e Merkel non piacciono (a lui vanno bene Trump e Putin; che curioso, i pretesi difensori della sovranità nazionale di fronte ai biechi eurocrati di Bruxelles e di Berlino, sono prontissimi a svenderla a Mosca e a Washington). Berlusconi assicura che l’Italia rispetterà il limite del 3% del deficit annuale previsto dagli impegni presi a Maastricht (impegni, ripetiamolo per l’ennesima volta, da noi liberamente accettati e non imposteci da nessuna congiura imperiale); Salvini dichiara che per lui il limite “non esiste”. Berlusconi critica il protezionismo trumpiano; Salvini lo difende. Ripeto, non si tratta di argomenti di dettaglio, ma della sostanza della futura politica, non solo economica, del Paese.
Va da sé che Berlusconi ha ragione e Salvini torto: voltare le spalle all’Europa, isolarci da Germania e Francia sarebbe un disastro per l’Italia. Sforare il tetto del deficit, con un debito pubblico come il nostro, sarebbe puro suicidio (torneremmo a pagare tassi d’interesse proibitivi). Il protezionismo è sempre dannoso e il barbuto leader leghista non s’illuda: se Trump va avanti su questa strada, i dazi colpiranno anche i prodotti italiani. E allora?
Allora, il fatto è che Berlusconi e Salvini parlano ciascuno alla rispettiva base, senza preoccuparsi dell’elettorato dell’altro. È un giochino stantio e, francamente, un po’ ignobile. Ma non romperanno per questo un’alleanza che è reciprocamente necessaria. La questione è: cosa accadrà dopo, se il centro-destra vince le elezioni? Come potranno convivere due anime così diverse di una coalizione eterogenea?
Berlusconi ha una risposta: date la maggioranza a me, sarò io a moderare l’alleato leghista. Dopotutto, ciò è avvenuto ripetutamente in passato. Però allora i rapporti di forza erano di una grande nettezza a favore di FI, cosa che rischia di non ripetersi il 4 marzo. L’ex-Cavaliere, che è tutto ma non scemo, sa però benissimo che questa è la miglior carta da giocare. In fin dei conti, quando ha vinto è sempre stato contro qualcuno, per esempio contro i comunisti mangiabambini. Ora si propone per esorcizzare i barbari grillini e, senza dirlo, quelli leghisti. Vedremo se anche stavolta il gioco gli riuscirà. Io – che berlusconiano non lo sono certo – obiettivamente mi auguro di sì.
C’è peraltro una deriva che, se non fosse preoccupante, sarebbe curiosa. Quando si guardano i rispettivi programmi, la maggiore affinità (o, se volete, la minore difformità) esiste tra FI e PD renziano (per esempio in materia di legislazione sul lavoro e, grazie alle politiche di Gentiloni e Minniti, sull’immigrazione; ma anche nei confronti dell’Europa). A parte questioni spinose come lo jus soli, che non è giusto includere in un programma di governo – ma devono essere affidate alla decisione del Parlamento e del Paese – potrebbero governare insieme senza troppi problemi. Ma passano il tempo a demonizzarsi reciprocamente, quasi volessero bruciare anzitempo ogni possibilità di accordo.
Ora, non si chiede certo a Renzi e a Berlusconi di tendersi la mano già adesso: la campagna elettorale ha le sue esigenze, e ambedue devono tener conto del fanatismo di una parte delle basi rispettive. Ma almeno non si sparino addosso in permanenza, perché questo rende un futuro accordo, che dovesse rivelarsi necessario, particolarmente arduo. L’esempio del 2013 non è, infatti, del tutto applicabile. Allora la situazione era di crisi aperta, e ci vollero tutta la saggezza e l’autorevolezza del Presidente Napolitano per imporre un accordo, del resto poco duraturo perché Berlusconi, irresponsabilmente, lo fece saltare.
In questo senso, una parola di buon senso è venuta finora solo dal Ministro Calenda, che si è dichiarato a favore di una “grande coalizione” alla tedesca. È logico che a farlo sia il responsabile dell’economia reale del Paese, il quale sa bene quanto essa soffra in periodi di incertezza o di debolezza dell’esecutivo o, peggio ancora, di ingovernabilità. Infatti, in Germania la grande coalizione è tornata all’ordine del giorno. anche per la tenacia di Angela Merkel. Ma la Germania, si sa, è un Paese serio.
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