Vuoto a rendere

Il ‘vuoto a rendere’? E’ la definizione più azzeccata del governo uscente, ultima versione di una amministrazione tecnica che è stata ‘ambientalista’ a parole e non nei fatti. L’associazione Marevivo, che da anni chiede l’introduzione del sistema del vuoto a rendere per bottiglie di vetro e imballaggi, denuncia il vuoto informativo sul via alla sperimentazione del sistema presso bar, ristoranti, alberghi e altri luoghi di consumo, che – come si legge sulla pagina dedicata del sito del Ministero dell’Ambiente – prenderà il via il prossimo 7 febbraio e durerà un anno intero. C’è stato un decreto, c’è la possibilità di compiere un gesto significativo per contribuire al riciclo degli oggetti e alla tutela dell’ambiente, c’è una data di inizio, ma nessuno lo sa: “È assurdo che a meno di dieci giorni dall’inizio della sperimentazione l’iniziativa non sia stata per nulla comunicata, pubblicizzata, portata a conoscenza in maniera capillare e diffusa agli esercenti e ai cittadini interessati”, ha dichiarato il primo febbraio con un comunicato Rosalba Giugni, presidente di Marevivo. “È necessario sin da subito recuperare il tempo perduto. Gli imballaggi dei prodotti alimentari, che non possono essere riusati e si disperdono nell’ambiente urbano, sulle strade, sulle spiagge, contribuiscono all’inquinamento e al degrado ambientale”.

‘Lo scopo primario del decreto è sensibilizzare i consumatori sulla prevenzione dei rifiuti attraverso la preferenza al consumo di birra e acqua minerale in bottiglie riutilizzabili”, si legge sul sito del Ministero. “Durante la fase di sperimentazione i consumatori di birra e acqua minerale sensibili alla prevenzione dei rifiuti, potranno infatti riconoscere attraverso apposito logo gli esercenti che, aderendo al sistema del vuoto a rendere, sceglieranno di vendere nel proprio esercizio bevande in bottiglie che, essendo impiegate più volte, non diventano immediatamente rifiuto”. ‘Sensibilizzare i consumatori’, recita il sito: ma come farlo con un semplice logo? Perché non realizzare una campagna informativa sui media nazionali? Pressappochismo? Distrazione pre-elettorale?

A qualcuno i conti non tornano. Chissà. Certo è che questa volta il riciclo che il decreto prevede non è quello di oggetti ‘da rottamare’, ma quello di oggetti già pronti per essere riutilizzati senza dover essere distrutti e nuovamente fabbricati. Questo era in effetti il riciclo fino a quaranta anni fa, quando era prassi non solo nei punti di distribuzione, ma presso negozi e supermercati dell’epoca. Ora, riutilizzare un oggetto, come una bottiglia, significa sottrarlo a due filiere: la filiera del riciclo come comunemente lo intendiamo, quello che trasforma i rifiuti di materiale omogeneo in ‘materia seconda’, un genere di riciclo nel quale sono attive nel nostro Paese numerose imprese di valore; e la filiera della fabbricazione, a partire da materie ‘prime’ o ‘seconde’. E’ chiaro che un comportamento diffuso come la riconsegna del vuoto al venditore, che può raggiungere direttamente il suo fornitore e restituire all’oggetto la funzione originaria persino con la stessa etichetta, avrebbe un peso importante sul sistema economico-produttivo. Il riciclo degli oggetti, e non dei materiali, appartiene alla cultura della parsimonia che fa parte del nostro passato e che sempre più persone stanno recuperando: è qualcosa di antico e nuovo insieme; ma qualcosa di alternativo all’economia di produzione, della quale, a seguito di decenni di campagne informative e sperimentazioni di successo, anche il riciclo dei materiali, uno dei pilastri dell’ ‘economia sostenibile’, è divenuto ormai parte integrante.

Insomma, intorno alle varianti del riciclo sono in gioco modelli diversi di economia ‘ambientalista’, con dietro imprese e aspettative commerciali non irrilevanti. La sperimentazione ha il fine di “valutare la fattibilità tecnico-economica e ambientale del vuoto a rendere, e l’eventualità di estendere tale sistema ad altri tipi di prodotto e ad altre tipologie di consumo”, si legge sulla pagina del Ministero. Si rischia un terremoto di settore – sempreché la sperimentazione abbia successo: che però è difficile che si verifichi, se i consumatori non ne sanno nulla. In ogni caso, il decreto di fine legislatura passa la patata bollente al successore. “Ci auguriamo che nella prossima legislatura il sistema del vuoto a rendere sia previsto in via definitiva, superando l’approccio sperimentale ed occasionale”, ha scritto ancora Giugni. Ce lo auguriamo, certo. Nell’attesa, restituiamo il vuoto al banco. E ricordiamo all’esercente di prenderne nota, come previsto dal decreto sul vuoto a rendere per verificare l’efficacia della sperimentazione, che sarebbe un peccato dovesse fallire.

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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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