Petrolio, corsa al rialzo
I picchi degli anni passati erano oramai un lontano ricordo, nel biennio 2016-2017 ci si era abituati a prezzi del petrolio anche sotto i $ 50 al barile, una tendenza che sembrava immutabile anche a fronte della perenne litigiosità e inadempienze dei paesi OPEC. Nel secondo semestre del 2017 tale tendenza si è spezzata portando il greggio a quello che è considerato il break even dagli analisti, quota $ 63. Ma non fermandosi a questo il petrolio si è spinto ancora più, salvo poi riassestarsi sui livelli previsti.
Svariate le cause dell’impennata, l’OPEC ha certificato, a seguito dell’accordo di Vienna, un calo della produzione di 79.000 barili al giorno scendendo a 32,76 milioni in agosto 2017. La flessione che ha fatto balzare il prezzo del petrolio è stata determinata soprattutto da quattro paesi attraversati da pericolose tensioni politiche: Libia, Gabon, Nigeria, Venezuela e Iraq.
Altri fattori hanno contribuito a diminuire le scorte e quindi incrementare la domanda, i forti uragani che hanno investito Texas e Louisiana hanno ridotto l’offerta statunitense, in questo frangente il prezzo non si è impennato alle stelle per via della diminuzione della richiesta dovuta al fermo delle raffinerie della zona investita dai cicloni. Anche l’aumento della domanda dovuta ad un generale rilancio dell’economia mondiale è stato calmierato dai nuovi dati diffusi dall’API, l’American Petroleum Institute, che ha divulgato dati sulle giacenze che segnano un aumento di 6,181 milioni di barili contro la precedente rilevazione di 2,791.
Non da sottovalutare poi la tendenza speculativa che ha contraddistinto gli ultimi sei mesi dell’anno passato, con i money manager che hanno messo in portafoglio una notevole quantità di ordini di acquisto. Il rilancio dei prezzi del petrolio ha portato i produttori americani di shale oil ad incrementare decisamente l’output dei loro prodotti mettendo in crisi la politica del cartello OPEC. Pur se la produzione di shale oil difficilmente potrà colmare il calo dell’estrazione, è indubbio che i paesi produttori, già da sempre alle prese con tematiche interne particolarmente complesse, non vorranno cedere quote di mercato a favore degli americani e dovranno scegliere una exit strategy da questa politica di riduzione. Si potranno fare ulteriori valutazioni dopo l’incontro Opec del prossimo giugno e testando la capacità della produzione di shale oil nel tempo.
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