Fake News ai tempi delle Primavere arabe

La profonda crisi dei media tradizionali controllati dagli Stati ha aperto una vera e propria autostrada alle fake news. Il Mondo Arabo è stato fra i primi ad esserne coinvolto. I casi di Algeria e Marocco.

Secondo i lessicografi, l’utilizzo dell’espressione “fake news”, dal 2016 ad oggi ha registrato una crescita del 365%. Questo repentino salto in avanti non caratterizza una realtà dei fatti propria agli Stati Uniti o all’Europa. Interessa in modo altrettanto critico il Mondo Arabo a partire dalle contestazioni popolari che l’avevano fortemente scosso nel 2011. Se in Occidente il dibattito si anima dal 2017, questo male imperversa palesemente sulla rete araba da almeno sette anni. All’origine della sua spettacolare progressione abbiamo contesti nazionali favorevoli alla divulgazione di notizie false dovuti alla profonda crisi dei media tradizionali controllati dagli Stati arabi. All’epoca, qualsiasi contenuto veicolato da questi media suscitava quotidianamente critiche e diffidenza da parte dell’opinione pubblica sempre più motivata dalla volontà di ricercare  una libertà mai avuta. Le “fake news” nutrivano già allora la sfiducia nei confronti di quei media che occultavano, sotto costrizione di un regime definito dai suoi oppositori come dittatoriale, la realtà e tenevano la popolazione prigionieri dell’ignoranza e l’opacità. Un controllo stringato dell’informazione che avrebbe come obbiettivo, secondo i suoi sostenitori, quello di mantenere la stabilità di un Paese dalla “fragile pace sociale”.

La diffusione di “fake news” nel Mondo Arabo mette anche in risalto la diffidenza esplicita e assunta nei confronti dell’autorità dello Stato e dei suoi media definiti organi di propaganda alla mercé del potere di turno. I giornalisti vengono confinati in un ruolo sempre più scomodo dove il termine  giornalismo va di pari passo con quello di autocensura o fedeltà. Nelle democrazie arabe emergenti o nei regimi arabi autocratici pesantemente carenti nel campo delle libertà e dei diritti umani, alcune questioni cruciali si impongono.  E sono ben diverse da quelle che solleva il problema in Occidente. Malgrado i lodevoli sforzi fatti per conformarsi progressivamente alle esigenze internazionali nel campo della libertà di espressione, i regimi arabi sono veramente legittimati a valutare la credibilità delle fonti? Possiamo affidargli un compito  delicato come questo malgrado i loro precedenti repressivi? Potranno essere veramente garanti della verità? Oggi diverse voci si alzano dai Paesi del Maghreb per opporsi fermamente all’ingerenza degli Stati in questo “processo di decontaminazione” dell’informazione. E’ il caso del Marocco dove  giornalisti e membri della società civile si mobilitano da tempo contro un progetto di legge allo studio del ministero della Cultura e della Comunicazione attinente alle “fake news” che inquinano la rete marocchina. Lo scorso 29 Gennaio, in un comunicato stampa, il ministero degli Interni ha posto l’attenzione su  “la gravità di questi atti che sono di natura tale da indurre l’opinione pubblica in errore, così come alimentano la sensazione di paura e il pericolo di attacco flagrante all’ordine pubblico”.

Ostili alla volontà del Governo di legiferare da solo e a passo di carica sulla questione, i professionisti dei media in Marocco denunciano la loro “esclusione” e affermano che il modo di fare del Governo è “preoccupante, ingiustificato e inutile”. Affermano che l’apparato legislativo già esistente nel Paese, soprattutto gli articoli 72, 106 e 108 del Codice della stampa, è assolutamente esaustivo in questo campo. Questa azione del Governo marocchino si inserisce in un contesto complicato e molto teso marcato dal malcontento sociale che non si affievolisce e scandito quotidianamente dalle udienze di un processo controverso come quello che coinvolge i manifestanti della marginalizzata regione del Rif. I detrattori di questo progetto di legge agitano già lo spettro della censura, cosa che le autorità marocchine negano. Su questa scia, l’agenzia di stampa marocchina, la MAP (Maghreb Arab Press) ha appena attivato il servizio “SOS fake news” che “permette ai suoi abbonati di rettificare in tempo reale, attraverso la rete della MAP, qualsiasi notizia falsa li riguardasse”.

Nel suo modo di trattare l’argomento “fake news” che inquinano abbondantemente la rete algerina, la stampa nazionale si chiede con ironia se non vi ci si dovesse vedere un segnale di progresso. Questo fenomeno non aveva “attraversato l’Atlantico per espandersi in Europa e raggiungere poi l’Algeria?!”. Ma la situazione non è delle più pacifiche. Varie notizie false sono nate come funghi sui social network algerini soprattutto nel 2017, notizie che vanno dalle voci sullo “stato critico della salute” del Presidente Abdelaziz Bouteflika, passano per la supposta “espulsione di diplomatici algerini dal’Arabia Saudita”, a arrivano all’assurda e delirate storia del “profumo tossico che causerebbe la morte dei musulmani”, secondo una falsa dichiarazione attribuita all’esercito algerino. Nella guerra alle “fake news”, non è prevista però dal governo algerino alcuna soluzione legislativa che vada a colmare il vuoto giuridico in materia. La questione non alimenta neanche i dibattiti  e l’opinione pubblica sembra essere poco propensa ad impegnarsi apertamente nel prendere posizione per arrivare a circoscrivere i danni causati da queste false informazioni. Nessun articolo del Codice dell’informazione algerino cita in modo preciso e chiaro la diffusione di notizie errate, a parte l’articolo 92 che obbliga a “rettificare qualsiasi informazioni si riveli inesatta”. I giornalisti algerini concordano nell’affermare che il problema delle “fake news” nel Paese  è appena agli inizi e che andrà ad aggravarsi per via “della predisposizione dell’opinione pubblica ad accettare le false notizie diffuse sui social network senza battere ciglio”.

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