Ginevra2: Iran, Obama e la diplomazia

Mentre in Italia ci si scanna sulle  vicende di Berlusconi e sulle coltellate nel PD, nel mondo succedono cose abbastanza più importanti, non solo per l’umanità, ma per  la nostra stessa  sicurezza e benessere.  La píù recente è l’accordo raggiunto a Ginevra tra l’Iran e i 5+1 (Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Russia e Cina, cioè le potenze nucleari più la Germania) siglato con una cordiale stretta di mano tra i Ministri degli Esteri iraniano e statunitense.

L’accordo ha natura provvisoria. In base ad esso, l’Iran s’impegna a sospendere il suo programma di arricchimento dell’uranio, a non aggiungere nuove centrifughe e a neutralizzare le riserve di uranio arricchito a quasi il 20%, mentre le Potenze Occidentali  si impegnano a non introdurre nuove sanzioni per i prossimi 6 mesi, al termine dei quali dovranno riprendere i negoziati per un accordo definitivo che dovrebbe portare alla eliminazione delle sanzioni economiche applicate al Paese mediorientale. L’accordo di sabato scorso non significa, dunque l’abbandono immediato del programma nucleare iraniano, ma ad esso apre la strada. Se le prospettive apertesi a Ginevra si confermeranno  e se l’accordo definitivo sarà poi applicato in buona fede e con le necessarie verifiche, uno degli incubi maggiori, cioè l’ipotesi di un disastroso conflitto militare nel M.O. sarà accantonato.  E forse il ritorno sul mercato del greggio iraniano contribuirà a ridurre  il prezzo del petrolio, con beneficio per la nostra economia.

Questo risultato, dopo anni di inutili negoziati, è certo dovuto alla svolta avvenuta a Teheran con l’elezione alla presidenza del pragmatico Rohani. Ma è  anche un effetto ritardato  dell’embargo sugli acquisti occidentali di petrolio iraniano che, assieme ad altre sanzioni di minor rilevanza, si è dimostrato nel tempo efficace nel colpire l’economia di quel Paese, costringendo anche gli Ayatollah a rispensarci.

Se c’è, però, un vincitore morale in questa vicenda,  questo è il Presidente Obama. In passato, quando pareva che un intervento americano contro la Siria fosse inevitabile e imminente per punire il regime di Damasco per l’uso di armi chimiche, avevamo scritto che un intervento del genere, anche se limitato a bombardamenti aerei, non avrebbe fatto che peggiorare le cose e produrre ulteriori disastri. Ma avevamo anche osservato che, per evitarlo, occorreva offrire a Obama la maniera per uscire senza perdere la faccia dalla trappola in cui si era cacciato con la famosa “linea rossa”. A dargli una mano, proponendo la distruzione controllata di tutte la armi chimiche in possesso di Damasco, è stato allora Putin (e credo che la diplomazia russa si sia attivata anche nel caso iraniano). E non per caso: se c’è una Grande Potenza vitalmente interessata a preservare stabilità nel Medio Oriente e a non lasciar distruggere i propri amici in quella zona, è la Russia. A merito del Presidente americano va peró ascritto di aver subito afferrato  la mano che gli veniva tesa.  Questo mentre alcuni  lo accusavano di debolezza o addirittura di viltà (da noi, certi pontefici  della grande stampa; non, peró, il Governo che, va riconosciuto, ha avuto sin dall’inizio una posizione del  tutto corretta).

Sabato scorso, a Ginevra, è successo lo stesso. Obama ha prilvilegiato la diplomazia rispetto all’uso della forza militare. Ha protestato Israele, che resta comprensibilmente diffidente. Ma per il resto del mondo il Presidente americano ha meritato il Premio Nobel per la Pace conferitogli all’inzio del suo mandato.

©Futuro Europa®

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